cronaca
sabato 3 Febbraio, 2024
di Benedetta Centin
Dopo che la moglie si è ammalata, avrebbe fatto della figliastra, poco più che una bambina, la sua amante, costringendola ogni fine settimana, quando rincasava, a subire le sue mani addosso. E rapporti sessuali. Anche completi. E in alcune occasioni l’avrebbe pure spinta a fotografarsi senza veli e a inviargli questi scatti osé via Whatsapp, scatti che anche lui faceva, promettendole in cambio lezioni di guida. Come se non bastasse — è sempre l’accusa — il camionista trentino all’epoca di 53 anni, avrebbe fatto prostituire l’adolescente, facendola partecipare, in case altrui, a delle orge, dove lui l’avrebbe presentata come una ragazza di 19 anni, quando ne aveva solo 14. Continue violenze che, secondo le contestazioni, il patrigno avrebbe imposto per tre anni, dal 2019 al 2002, alla minore, tra Trentino, Alto Adige e Veneto. Raggiungendola in camera da letto di notte, quando la moglie dormiva, o sorprendendola in altre parti della casa dove la sottoponeva alle sue attenzioni morbose. Per gli inquirenti l’avrebbe tenuta sotto scacco: si arrabbiava con la minore, la minacciava imponendole di stare zitta per non rovinare la famiglia. E approfittava del fatto che si vergognasse di quegli atti «sporchi». Approfittava pure della sua vulnerabilità, condizionata anche dal fatto che la mamma aveva problemi di salute e che lui, il presunto orco, era colui che, con il suo stipendio, provvedeva loro.
Allontanato da casa
Solo poco prima di diventare maggiorenne la vittima ha denunciato quanto subito ai carabinieri. E allora la Procura di Trento ha chiesto e ottenuto dal giudice l’allontanamento dalla casa familiare dell’uomo e il divieto per lui di avvicinare la giovane, ora di 18 anni, e la moglie. Procura che ha chiesto per l’autotrasportatore il giudizio immediato (che permette di saltare l’udienza preliminare) tanto era cristallizzato il quadro accusatorio, considerati gli elementi indiziari.
La Procura per una pena più bassa
Due giorni fa il processo si è chiuso con una condanna che pesa come un macigno. Probabilmente senza precedenti a Trento. Il giudice Enrico Borrelli ha infatti inflitto 15 anni di reclusione al patrigno, evidentemente partendo dalle pene più alte per i reati contestati, quelli cioè di violenza sessuale su minore con una serie di aggravanti, di produzione di materiale pedopornografico aggravata e, ancora, di prostituzione minorile a sua volta aggravata. Più contenuta invece, ridotta di un terzo, la pena sollecitata dalla Procura in aula e cioè 10 anni di carcere. Una pena, quella sentenziata, esemplare, che poteva essere anche più elevata se non fosse stato per lo sconto di un terzo applicato, previsto dal rito chiesto dalla difesa, e cioè l’abbreviato. Lo stesso giudice per l’udienza preliminare ha anche applicato una misura di sicurezza per tre anni e la libertà vigilata, una volta finita di scontare la pena, sempre di 36 mesi. E previsto inoltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il trentino di 58 anni dovrà poi mettere mano al portafogli per risarcire la ragazza e sua madre, che si erano costituite parte civile: è stato infatti condannato a liquidare mezzo milione di euro alla più giovane, 200mila invece a quella che sulla carta è ancora sua moglie (ma vivono separati), con provvisoria esecuzione per entrambe.
«L’imputato: la verità è un’altra»
L’avvocato difensore, Vittorio Papa, anche nel corso della discussione ha tentato di sgretolare il grave castello accusatorio, evidenziando come non ci sarebbero prove degli scatti osè, motivando con dei riscontri concreti come alcune situazioni non possono essere state. L’imputato sostiene appunto che i fatti siano diversi da quanto raccontato dalla ragazza in sede di audizione protetta, come il resoconto di lei non sia del tutto veritiero. A partire dalle orge, che a suo dire non ci sarebbero state. «Lette le motivazioni impugneremo la sentenza e presenteremo Appello» anticipa il legale Papa.