il lutto
giovedì 8 Febbraio, 2024
di Francesco Morandini
In Italia ci sono circa 1500 Comuni con una via dedicata ad Aldo Moro, ma non a Predazzo dove pure lo statista pugliese, ucciso dalle Brigate rosse nel 1978, trascorse le vacanze quasi ininterrottamente dal 1964 al 1977 e dove ha lasciato numerosi ricordi ancora vivi in chi ha un’età adeguata e lo rammenta ancora quando passeggiava per il paese.
A sottolinearlo, otto anni fa, prima dei festeggiamenti dell’agosto 2016 per il centenario della nascita, era stata la figlia primogenita Maria Fida Moro, scomparsa ieri all’età di 77 anni dopo una grave malattia. Fu proprio Maria Fida, madre di Luca Moro, l’unico nipote conosciuto dallo statista pugliese, il «nipotino amatissimo» che ricorre nelle strazianti lettere di Aldo Moro dal carcere brigatista, a portare il padre in valle e a farlo innamorare prima di Predazzo e poi di Bellamonte e a trascinarvi l’intera famiglia dopo avervi messo piede per la prima volta nel 1964 in occasione di un compleanno a Passo Rolle con amici che lavoravano alla Scuola alpina della Guardia di Finanza.
Da allora il rapporto di Maria Fida Moro con Predazzo è stato un rapporto di amore sfociato in delusione e di dolore come scrisse più volte, frutto di incomprensioni e di un carattere irrequieto e combattivo nel sostenere la memoria del padre vissuta anche attraverso quella del figlio Luca.
Soffriva il fatto che né a Predazzo dove inizialmente soggiornò, né a Bellamonte dove Moro costruì la sua casa delle vacanze, e dove probabilmente sognava di vivere stabilmente a conclusione della sua vita politica, ci sia stata traccia del leader democristiano nato a Maglie il 23 settembre del 1916. Maria Fida Moro risiedeva a Predazzo da anni. Vi risulta residente anche negli annali del Senato dove venne eletta nel 1987 fino al 1992, passando dalla Dc a Rifondazione Comunista e in seguito al Msi, AN, Radicali e altri.
A dire il vero già negli anni ’80, e successivamente attorno al 2000, quando venne rifatta la toponomastica del paese, il tema venne affrontato in Comune. Nel primo caso il delitto Moro era ancora fresco di cronaca e forse la scelta di intitolare una via era parsa troppo frettolosa. Nel 2000, stando alle cronache dell’epoca, pare sia stata la Sovrintendenza provinciale di Trento a respingere la richiesta dell’amministrazione comunale di intitolare a Moro la via principale di Bellamonte (l’attuale via Prai de Mont) ritenendola mancante dei requisiti.
Per ovviare a questa dimenticanza e per non lasciar trascorrere nel silenzio anche il centenario della nascita, nel 2016 l’amministrazione comunale mise in cantiere una serie di appuntamenti allo scopo di «ricordare e onorare la figura di Aldo Moro».
Ma Maria Fida Moro scrisse ai giornali lamentando il mancato coinvolgimento. «Mi ha invitato senza chiedermi di prendere la parola». Da qui la decisione di non partecipare alla commemorazione, pur comparendo nel programma. A Moro fu dedicata la sala del centro polifunzionale di Bellamonte, ma la figlia avrebbe voluto l’intitolazione di una strada. Le cose si misero ancora peggio due anni dopo quando il Comune previde alcune iniziative nel 40esimo della morte dello statista.
Nel 2016 aveva smorzato i toni, parlando di superficialità dell’amministrazione, ma quando due anni dopo il Comune decise di ricordare l’uccisione dello statista, la sua protesta fu davvero vibrante: «Ce ne andremo da questa terrà» dichiarò lamentando di nuovo lo sgarbo del mancato coinvolgimento, quando in realtà, sostengono gli amministratori, il coinvolgimento ci fu.
«Con il loro atteggiamento hanno spezzato quell’amore che noi nutrivamo per questa bellissima terra. Ho un dolore immenso, nel cuore», dichiarò. E a settembre abbandonò la casa di Predazzo per trasferirsi a Fiano Romano.
Una vita difficile, quella di Maria Fida, soprattutto nei rapporti con la famiglia (i fratelli Giovanni e Agnese si rifiutarono di partecipare alla manifestazione di Predazzo se c’era la sorella Maria Fida che peraltro non partecipò nemmeno ai funerali della madre Eleonora). Una vita frutto di un’irrequietezza caratteriale che in politica si è manifestata con il percorso di tutto l’arco costituzionale e a Predazzo con il grido di dolore di una donna che si è sentita incompresa proprio dal paese e dalla valle di cui si sentiva «autentica ambasciatrice e innamorata». Una vita segnata dalla ricerca della verità su suo padre e dall’attività giornalistica. Scrisse numerosi libri, tra cui il Premio Viareggio «La casa dei 100 natali», e «La nebulosa del caso Moro» che fissa i numerosi punti ancora oscuri di quei 55 giorni dalla strage di via Fani al ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani.