Rovereto

mercoledì 14 Febbraio, 2024

Salin, una famiglia di sarti e l’amore per pittura e musica

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Autore per Radio Due, cura il canale youtube «La Penna d’Oca» dove si trova anche «La Piccina Commedia» una versione moderna dei gironi danteschi abitati da finanzieri e prostitute tecnologiche

Anna Maria Eccli
Cognome di origine vicentina, ma nell’albero genealogico dei Salin troviamo due sarti eccelsi che seppero interpretare la grandeur borghese della belle epoque anche all’ombra della Quercia: papà Claudio e nonno Pio nella prima metà del ‘900 vestirono personaggi altolocati del Nord Italia, artisti indimenticabili come Raf Vallone a Fantasio Piccoli, drappeggiando sfarzosi tessuti per il teatro goldoniano. Walter Salin è loro discendente. Artista a tutto tondo, pur senza impugnare ago e filo ha tratto dalle trame raffinate e dall’ordito di stoffe antiche la linfa, lo spirito, per le sue composizioni straordinarie, siano esse musicali, pittoriche, o teatrali. Classe 1958, musico, attore, regista, pittore, autore Rai, ha scritto sceneggiati radiofonici per Radio Due e qualcosa come 12 libri, tra saggi, romanzi, monologhi. Voce profonda e tempi scenici perfetti grazie a maestri come Arnoldo Foa, Gino Bramieri, Riccardo Cucciolla, Alessandro Quasimodo; ha realizzato audiolibri, ma soprattutto spettacoli di grande spessore letterario oltre che musicale, illuminati dal gusto estetico maturato alle delizie rinascimentali, ma innervati dall’elegante ironia di chi è attento osservatore della realtà profonda sonnecchiante dietro alle apparenze. È stato autore per Radio Due delle sceneggiature de «Il salotto del giullare» e con l’«Album delle parole» ha intervistato personaggi importanti come la neuropsichiatra Giuliana Ukmar e l’archeologo Giuseppe Orefici, famoso per le ricerche sugli Nasca e Rapa Nui; la più divertente, assicura, fu quella a Letizia Buscaglione, nipote del grande Fred. Attualmente cura il canale youtube «La Penna d’Oca», in cui trovare versioni video di alcune opere teatrali, come «La Piccina Commedia», arguto e caustico melologo in sette puntate, scritto (e recitato) in terzine ed eleganti endecasillabi: gioiellino geniale, colto e divertente. Graffiante e raffinata rivisitazione dei gironi danteschi moderni, abitati da finanzieri e prostitute tecnologiche, costumanze, tendenze, procedure e da vip destinati a graticola eterna come polli allo spiedo.
Parliamo della sartoria Salin, tempio d’alta moda quando i maschi giravano con il cilindro in testa e al Grand Hotel Vittoria scendevano personaggi in vista per farsi fare uno smoking da sfoggiare al Casinò di Venezia.
«Raf Vallone fu talmente soddisfatto del vestito bianco, perfetto, confezionato da papà per recitare Ibsen, che sulla foto scrisse la dedica: “A Claudio, il sarto che taglia con l’anima”. Ricordo che per “Il Ventaglio” di Goldoni diretto da Fantasio Piccoli papà preparò tutti i costumi settecenteschi. Io lo accompagnavo per le prove; avevo 9 anni, cominciavo a studiare chitarra dal liutaio Tullio Bertè, allievo del famoso Luigi Mozzani cui l’anno scorso abbiamo dedicato il primo “Mozzani Day”».
Fu suo padre ad accenderle l’amore per la musica?
«Forse fu il caso: da bambino io ero appassionato soprattutto di disegno, tanto che mio padre si risolse a portarmi dal pittore e scultore Cirillo Grott. Da artigiano sapeva come era importante imparare un’arte a bottega, ma Grott non intendeva avere un ragazzino d’attorno, così mio padre, che da ragazzo aveva strimpellato il mandolino, mi dirottò sul liutaio Bertè. Cominciò così la mia avventura chitarristica».
Non le chiese di imparare l’arte della sartoria?
«Sì, me lo chiese, ma io non ne potevo più di sentire parlare di pettorine, soprafilli, imbastiture a pranzo e a cena. Figurarsi, anche mamma era sarta, così come i nonni materni, oltre ai paterni. Tutti sarti, ma io non so attaccare un bottone. Il mio destino stava correndo su altri binari. Poi venne il Liceo Classico, la Cattolica a Milano e il Conservatorio a Bolzano, con docente Elena Padovani, allieva del grande Segovia che mi aveva aperto le porte di casa sua; al mattino si faceva lezione e al pomeriggio musica d’assieme in duo, trio, o quartetto, così mi ospitava per il pranzo. Lo ha fatto per quasi 8 anni».
Tra concorsi, concerti e registrazioni riprese anche in mano tele e pennelli dedicandosi alla vecchia passione della pittura. Quale fu lo spartiacque?
«L’andare a bottega da Carlo Fia nel 1985, direi. Curiosamente, mi faceva copiare busti scolpiti da Cirillo Grott: l’artista che era uscito dalla mia vita dalla porta, stava ritornando dalla finestra. Un giorno, poi, sua moglie, Sandra, mi invitò a suonare per una mostra a San Babila e là conobbi la mitica Vittoria Palazzo, grande giornalista del Circolo della Stampa milanese. Aveva contatti con i maggiori artisti italiani, De Chirico, Guttuso, Brindisi… Iniziai a frequentare le botteghe di pittura sui Navigli e grazie a Vittoria realizzai anche le prime mostre. Avevano come soggetto pagliacci e orologi, emblemi del tempo che scorre e della non autenticità pirandelliana».
Lame di luce, tagli prospettici, velature, una certa dose di matericità… nature morte, donne aeree e discinte, musica, Cristo: sotto traccia nella sua pittura c’è sempre una strana commistione tra sacro e profano, elegiaco e drammatico.
«È la doppia faccia del reale; definiamola “composta sensualità”. Esprimo i due lati opposti dell’essere umano, onorando la bellezza della donna, capolavoro armonico della creazione, gioco virtuoso di curve e linee. Vittoria Palazzo aveva definito la mia pittura “figurativo di ricerca” e da lì in fondo non mi sono mai mosso».
Ha dipinto quadri dedicati alla musica, a Verdi e a Venezia.
«Sì, Venezia per me è fonte inarrivabile di emozioni, a Venezia suono sempre con gioia e a Venezia ho persino fatto il viaggio di nozze con Rosella».
Rosella Roncher, altro gioco del destino, discende da una famiglia di musicisti.
«Sì, da Giovan Battista Runcher, badiota, fu maestro di cappella a Trento, in Santa Maria Maggiore, e conobbe Mozart. Avevo 18 anni quando me ne innamorai, ero “en pisòt”. Fu un coup de foudre, un colpo di fulmine. Non scriva per favore che lei per un anno non mi ha considerato nemmeno di striscio. Me l’ha fatta incontrare Dio. Ho iniziato a condividere con lei un percorso di fede, incontrando teologi, mistici, pensatori e studiando molto. Oggi, me lo lasci dire, la gente non studia più, si affida a un opinionismo gratuito, cieco e bigotto. Il relativismo ha ucciso il principio di non contraddizione di aristotelica memoria e non si ha più voglia di approfondire. Eppure il mondo del sacro è meraviglioso. Meraviglioso e immenso, ma impegnativo, Dal ’68 in poi, però, è scoppiata la febbre del “secondo me”. Anche a scuola si chiede ai ragazzi come la pensino. Ma prima bisogna studiare il Bello e il Vero».
Come ha avuto l’idea d’una “Piccina Commedia” sagace e divertente, che destina agli inferi finanzieri e ruffiani, chef televisivi e gente spettacolosa, prudens iuris e clerici “orbi di purezza”?
«Non mi piace il politicamente corretto che sta distruggendo la verità sacrificandola sugli altari di un relativismo mortifero. È indispensabile esercitare il pensiero pensante, critico, logico, cercando verità, trasmettendo ai giovani gli strumenti per non lasciarsi illudere dalle chimere della tecnocrazia, o del falso progressismo ideologico, imposto da chi sogna di progettare una “mandria” come società».