il protagonista
martedì 20 Febbraio, 2024
di Redazione
Forse non c’è un essere umano sulla terra che ha avuto una fine di 2023 e un inizio di 2024 migliore di Jannik Sinner. Il giovane tennista altoatesino ha confermato la sua crescita alla fine dell’anno scorso, vincendo a Toronto il suo primo titolo Master 1000, arrivando fino alla finale delle Atp Finals di Torino, battendo Djokovic e la Serbia e trascinando l’Italia alla vittoria della Coppa Davis. L’inizio di quest’anno è stata poi la definitiva consacrazione. Sinner ha vinto il suo primo Slam battendo agli Australian Open prima Djokovic in semifinale e poi Medvedev in finale e poi ha conquistato anche il Master 500 di Rotterdam contro De Minaur salendo al numero 3 della classifica Atp. Intervistato da Vanity Fair Sinner ha commentato questo momento magico della sua carriera, se gli altri immaginano per lui ormai traguardi leggendari, il giovane tennista rimane, come nel suo stile, ben ancorato alla concretezza del duro lavoro e dell’impegno.
Gli allenamenti, gli amici e l’avversione per la fama
Un duro lavoro che però non sembra mai essere un problema per Sinner, come nello stile che ormai tutti stanno imparando a conoscere, a Vanity Fair ha detto: «Ho tutto, non mi manca niente. Non sono mai stato in discoteca, non mi piace andare a dormire tardi. Preferisco giocare a carte con un amico. Ne ho pochi, ma veri. Mi conoscono da quando ero ragazzino e non gli importa di cosa ho vinto o di quanto sono famoso». Non si tratta di timidezza, chi lo conosce bene parla di una persona ironica e solare, ma di poco interesse verso la fama, considerata solo un aspetto secondario legato alla sua professione. E lui lo ribadisce: «Le persone che mi sono vicine la pensano come me, su questo tema. Perché sono molto simili a me: ci capiamo con uno sguardo, in un secondo».
Si spiega così anche la decisione di rifiutare l’invito a Sanremo, criticato da più parti. Polemiche che al tennista altoaetesino scivolano decisamente addosso: «Il 99 per cento delle volte dico di no, e il motivo è molto semplice: mi voglio concentrare sul tennis, cerco di evitare le distrazioni».
«Sono italiano al 100%. Berrettini? Speriamo ritorni»
Ripensando alla Davis conquistata lo scorso dicembre, Sinner dedica un pensiero all’amico Matteo Berrettini, che prima dell’esplosione di Sinner stesso era considerato l’astro nascente del tennis italiano. «Lui ha avuto molti infortuni, speriamo che ritorni. Non è giusto dimenticare i suoi successi. Noi italiani siamo un bel gruppo, ci rispettiamo tutti anche se siamo tutti diversi». Un «Noi» che sembra spegnere tutte le malelingue che parlano della residenza fiscale a Montecarlo e della sua altoatesinità come se Jannik fosse di una appartenenza diversa: «Sono italiano al 100% e sono molto orgoglioso di esserlo: a 7 anni facevo i campionati di sci coi ragazzini italiani, i miei compagni erano italiani». A 14 anni si trasferisce poi in Liguria e su Bordighera confessa di avere inizialmente pianto, all’arrivo, ma di avere comunque rassicurato i suoi genitori. La lingua? Per Sinner anche questa è una polemica che ha poco senso. «Scusate, noi parliamo il nostro dialetto tedesco, ma anche in Sicilia parlano un dialetto che nelle altre parti dell’Italia non capiscono, no?».
Obiettivo numero 1
Una stagione appena iniziata porta con sé già grandi promesse. In due mesi Jannik ha già conquistato il suo primo Slam ed è entrato nella top 3 mondiale scavalcando Medvedev. Impossibile non guardare avanti e pensare ai prossimi grandi appuntamenti e anche ad insidiare le piazze d’onore di Alcaraz e Djokovic. Lui, ovviamente, rimane con i piedi per terra. «Il futuro non si può prevedere. Sicuramente è un sogno e stiamo lavorando per andarci il più vicino possibile», dice Sinner confermando la sua ambizione di diventare il numero 1. Sinner sa che ci saranno momenti difficili, in uno sport come il tennis così legato ai momenti di forma, chiedere all’Alcaraz delle ultime uscite per conferme, e si sta preparando anche per gestire al meglio i possibili cali: «Tutte le partite che si vincono, non si vincono nel giorno in cui si disputano. Si vincono preparandosi per mesi, forse anni, lavorando per quella partita» spiega con testardaggine. «Vedremo se questo lavoro servirà anche al primo fallimento, vedremo come reagirò. Ma non ho paura di sbagliare, non ci penso. Non vedo che senso abbia pensarci».
Il ritorno a casa
Dopo la vittoria di Rotterdam, Jannik è finalmente tornato nella sua Sesto Pusteria per far visita ai suoi cari, una visita ammantata nel massimo riserbo: sia perché la discrezione è uno dei punti fermi del suo carattere, sia per non disturbare la quiete del paesino montano. «Voglio proteggere le persone che mi sono più vicine, tenendole fuori da tutto ciò. Lo vivo come un piccolo compito da svolgere, quasi un dovere: mi hanno aiutato ad acquisire sicurezza in me stesso, e oggi in qualche modo voglio tutelarle». Quanti fosse legato alla sua famiglia del resto lo si era capito già dopo la vittoria agli Australian Open: la prima chiamata era stata per la mamma e poi il primo pensiero, durante la premiazione, è stato un ringraziamento ai suoi genitori che «mi hanno lasciato libero e mi hanno fatto andare via così presto, e non è facile con un figlio».