Tribunale
domenica 25 Febbraio, 2024
di Benedetta Centin
Per il boscaiolo David Dallago il custode forestale Fausto Iob «era un problema che lo affliggeva»: questi lo aveva pizzicato a rubare un carico di legna pubblica, valore 400 euro circa, e lo aveva invitato a restituirla, tanto che da allora lo stava controllando. E certo «non avrebbe lasciato perdere». Ma più che un’opzione offerta quella di Iob era suonata come «un’ingiunzione che non avrebbe lasciato scampo a Dallago se non avesse ottemperato». Non senza conseguenze «in tema di perdita del lavoro e di incarichi futuri». Anche sul fronte degli ulteriori furti in danno al patrimonio boschivo, che non avrebbe più potuto fare.
E il fatto che il boscaiolo abbia poi «consegnato il carico di legna rubata a un suo cliente il giorno successivo all’aggressione a Iob (il 4 giugno 2022), lo inchioda nella posizione di soggetto gravemente interessato a togliere di mezzo il custode che gli stava addosso e non gli avrebbe dato alternative per lui sostenibili».
Il movente sarebbe da ricercarsi infatti «nel fastidio dell’imputato di venire controllato da Iob», nel «suo intento di non restituire il legname sottratto» e di voler proseguire nei furti.
Così è riportato nelle 135 pagine di motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Trento che a dicembre scorso ha condannato all’ergastolo il 38enne di Mollaro di Predaia.
Riconoscendolo colpevole dell’omicidio volontario pluriaggravato dell’ex custode dell’orso di San Romedio, ripescato senza vita nel lago di Santa Giustina il 5 giugno 2022. Iob era stato colpito alle spalle con un’arma contundente (mai trovata): «almeno 18 colpi» alla nuca che lo avevano anche stordito. E una volta gettato in acqua era morto annegato. Un delitto che — è il ragionamento dei giudici — potrebbe apparire sproporzionato rispetto al movente ma «alla luce delle condizioni economiche e lavorative di Dallago tale sproporzione appare ridimensionata», visto che voleva evitare di rimanere disoccupato.
«Gravi indizi»: primo il movente
Quello del movente, per i giudici togati e popolari che hanno deciso per il fine pena mai, è solo uno dei sette «gravi indizi» che sono emersi nel corso delle indagini e quindi del dibattimento e che formano la prova del reato contestato, visto che non c’è una rappresentazione diretta del fatto. Per la Corte presieduta dal giudice Claudia Miori «sette indizi possono essere più che sufficienti, se concordanti e significativi, e assolutamente convergenti, e nel caso specifico lo sono certamente». E «non solo la particolare pregnanza di ciascuno di essi, tutti pesantissimi, ma anche la convergenza e la evidente unidirezionalità degli stessi non lasciano margini di dubbio in ordine alla riferibilità del fatto all’imputato».
La presenza sul luogo
Anche in aula, in base alle celle telefoniche agganciate, a testimonianze di persone incontrate e immagini di targasystem e telecamere, si sono ricostruiti gli spostamenti della vittima quel 2 giugno 2022, e dall’altra era emerso come l’imputato si trovasse nel cantiere forestale di Banco in orario antecedente e prossimo all’aggressione (fino alle 11.30), come ha ammesso anche lui coi giudici. Lì dove Iob era tornato appunto in tarda mattinata per controllare il taglio delle piante. E poi non c’era nessun’altra persona sul posto.
La prestanza e gli scarponi
Per la Corte Dallago era «dotato di attrezzatura, vestiario e prestanza fisica all’epoca idonei al trasporto di un corpo inanimato o al trascinamento su telo almeno nell’ultimo tratto», lungo la stradina che scende per 70-80 metri al lago, «con scarpe adatte a quel percorso». I giudici ipotizzano che dopo l’aggressione («disponendo di attrezzatura idonea allo scopo»), il boscaiolo abbia caricato Iob «vivo ma inanimato» nel bagagliaio della sua auto con i sedili abbassati (vettura poi ripulita ma in cui i Ris isoleranno una chiazza di sangue). Ha percorso un primo tratto in auto, poi, appunto, a piedi con la vittima.
Il telefono
Eloquente, per i giudici, è anche «l’interruzione di traffico del cellulare dell’imputato proprio in concomitanza con la mancata visualizzazione dei messaggi inviati a Iob da parte della vittima»: quarto grave indizio che porta a «direzionare all’imputato la paternità dell’aggressione». E poi Dallago non avrebbe dato giustificazioni plausibili sulla presunta rottura e dismissione del suo cellulare proprio quel giorno. «Tentativo goffo di sviamento delle indagini». Telefono, questo, portato a riparare e risultato bagnato: l’ipotesi è che sia finito in acqua al momento dell’immersione nel lago del corpo di Iob.
Le tracce
Altro grave indizio «le tracce e il tentativo di disperderle da parte dell’imputato»: di «fare pulizia e cancellarle». Non solo Dallago era tornato sul luogo dell’aggressione il pomeriggio, ma aveva anche pulito la sua auto (ai carabinieri aveva però raccontato di aver usato quella del suocero), dopo aver acquistato della candeggina in negozio.
Le bugie e l’assenza in cantiere
Infine, a pesare sono state anche le dichiarazioni di Dallago risultate «non corrispondenti al vero» e «altre gravi contraddizioni in cui è incorso». Ultimo indizio «la mancata presentazione di Dallago al cantiere di Banco il 4 giugno» quando doveva trovarsi con Iob per lavoro, «circostanza che lascia arguire che era a conoscenza della sua morte», tanto che non lo aveva nemmeno cercato al telefono.