cronaca

venerdì 1 Marzo, 2024

Morto per overdose in casa di accoglienza: aveva chiesto asilo in Italia perché gay ma la domanda è stata respinta

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Secondo gli operatori della struttura il 30enne non faceva uso di sostanze. Nel suo Paese, il Marocco, l’omosessualità è considerata un crimine

Lo hanno trovato ieri senza vita, per i carabinieri che sono intervenuti si tratta di un’overdose. Sono in corso le verifiche su quale sia la sostanza usata. Si tratta di un giovane straniero, nemmeno trent’anni, di origine marocchina, che era ospitato da una delle associazioni che in Vallagarina si occupano di accoglienza.
Il dramma ha colpito per primi gli operatori della struttura dov’era ospite, che per primi si dicono stupiti: «Non aveva una storia di dipendenza da sostanze, non si era mai fatto, non che sapessimo». Raccontano di un ragazzo intraprendente, desideroso di imparare, di vivere la sua vita qui, in Italia, in Europa. E raccontano della sua paura di dover tornare nel suo Paese d’origine, il Marocco. Una paura fortissima.
Ma perché mai un giovane avrebbe dovuto avere paura di tornare in Marocco? Per lo Stato italiano non è un Paese ostile, e se si chiede il diritto di asilo questo viene respinto. Eppure l’articolo 489 del codice penale marocchino criminalizza gli «atti osceni contro natura con un individuo dello stesso sesso», punendo la persona omosessuale con una pena che va da 6 mesi a 3 anni di reclusione e una multa da 120 a 1200 dirham. Oltre al dileggio, alle botte, all’esclusione, a mille altre vessazioni che subisce chi è gay in un Paese omofobo. Quel giovane che ieri è morto era infatti omosessuale e di questo — in segreto — ne aveva parlato anche con i suoi operatori, chiedendo loro di non dirlo ai suoi coinquilini: per paura, anche questa volta. Stessa paura che ha avuto davanti alla commissione territoriale che doveva decidere sulla sua richiesta di asilo. Gli hanno chiesto se davvero fosse gay, ha detto di sì. Ma non gli hanno creduto. E pochi giorni dopo è morto per overdose. Che ora gli operatori credono sia stata cercata, voluta. Una delle ipotesi, quindi, è che abbia cercato di togliersi la vita. Su questo faranno i dovuti approfondimenti gli inquirenti.
La storia di questo ragazzo è la storia di un ragazzo straniero come tanti altri, che ha tentato di scappare da qualcosa, da qualcuno. O che ha cercato di andare incontro alla sua libertà. È approdato in Italia negli anni scorsi, ha raggiunto uno Stato europeo successivamente. Nel momento in cui ha richiesto asilo è stato rimandato in Italia, perché così dice il Regolamento di Dublino: lo status di rifugiato, se concesso, lo concede il Paese di primo approdo. E qui ha bazzicato per un po’ i dormitori, per poi incontrare l’accoglienza trentina che gli ha dato il letto e l’assistenza legale per far valere i suoi diritti, costruendo con lui un progetto di integrazione. Ha frequentato i corsi di italiano, trovando anche un lavoro, che poi ha perso per colpa della burocrazia, per le lungaggini della decisione sul suo status. Perché in attesa del ricorso sulla decisione della commissione che ha dato il diniego alla richiesta d’asilo il suo permesso di soggiorno è stato ritirato, e non più rinnovato. E senza permesso, niente lavoro.
La commissione, infatti, aveva deciso che no, non ha diritto a stare in Italia. Contro questa decisione si erano mossi gli avvocati, chiedendo al giudice di sospendere quella «condanna» al ritorno al Paese d’origine. Il caso sarebbe stato trattato in questi giorni. Ma in questi giorni il giovane è morto.
Gli operatori che lo hanno seguito e accompagnato in quest’ultimo periodo sono profondamente colpiti. «Stava male in questi ultimi giorni, malissimo. Temeva che tutto andasse male, che alla fine dovesse tornare indietro, in Marocco. Era davvero spaventato». E uno di loro spiega: «Proprio mentre lui stava vivendo le sue ultime ore, stavamo parlando di lui in una riunione con l’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ndr). Dicevamo — spiega un operatore — di come queste situazioni di attesa, di limbo in cui sono obbligati molti richiedenti asilo, possa provocare sofferenze psicofisiche molto gravi. E lui non ha retto. In ogni caso non ha retto la paura di dover tornare indietro, in un Paese che non lo avrebbe mai riaccolto per davvero, dove l’omosessualità è reato».