Il musicista
domenica 24 Marzo, 2024
di A. M.
A 82 anni è morto Maurizio Pollini, tra i più grandi pianisti al mondo. Lo stesso presidente Mattarella lo ha ricordato come «un poeta del pianoforte». Pur avendo avuto sporadici rapporti con Rovereto (fece un solo concerto, allo Zandonai, nel 1997), Pollini è figlio di altri due illustrissimi cittadini roveretani.
Scorrere la genealogia di Maurizio Pollini dà la vertigine. La vita lo ha accolto in una fredda giornata milanese del gennaio ’42 per poi lanciarlo nel firmamento dei grandi artisti internazionali, ma le sue origini affondano le radici nel cuore pulsante della cultura roveretana di fine ‘800, orbitante attorno a quella Realschule che sfornò ingegni come Tullio Garbari, Luigi Bonazza, Luciano Baldessari, Giovanni Tiella, Riccardo Maroni, Fortunato Depero, Fausto Melotti… Una Scuola che fu capace di nutrire, implementare, realizzare concretamente lo spirito di per sé interdisciplinare dell’arte che sa inframezzarsi con la progettualità tecnico-scientifica. Da quella scuola creata nel 1849 nell’ottica di una progressiva modernizzazione del Trentino, su modello del Realschule austriaca, uscì infatti lo zio di Maurizio Pollini: Fausto Melotti (la mamma dell’artista milanese era Renata Melotti, pure lei musicista) scultore, pittore, equilibrista della levità, musicista, ingegnere, nonché cugino di Carlo Belli. Ma nella Realschule si formò lo stesso padre del pianista: Gino Pollini, geniale architetto esponente (assieme a Luigi Figini e allo stesso Adalberto Libera) del razionalismo architettonico in Italia. Bisogna dire che anche Gino Pollini era un appassionato e talentuoso musicista. Curioso e fertile intreccio quello delle due famiglie, Melotti e Pollini, fucina di intellettuali eccellenti che hanno saputo essere protagonisti del mondo musicale quanto di quello architettonico e plastico. È passata alla storia la serata del 10 gennaio 1923 in cui, già studente al Politecnico di Milano destinato ai vertici dell’architettura italiana, Gino Pollini si esibì al violino per Fortunato Depero assieme all’amico Fausto Melotti, che il destino avrebbe in seguito fatto diventare cognato.
Anche se è solamente una curiosità, Maurizio Pollini, pur essendosi formato in un liceo classico, si era anche iscritto ad alcuni corsi di Fisica, disciplina di cui rimarrà sempre appassionato, testimonianza anche questa d’una mente fertile e sempre sulla soglia tra l’arte del suono e quella dello scienziato. Talento, forse, all’insegna dell’interdisciplinarità roveretana di asburgica memoria degli avi di cui dicevamo, e di cui, guarda caso, diventerà somma esponente la cugina, Monica Colpi, professore di Astrofisica all’Università di Milano Bicocca e formatrice di una classe di ricercatori che opera in tutto il mondo, nata e cresciuta nella nostra città, figlia di Lidia Melotti. Come avevamo scritto in occasione d’una intervista che ci aveva rilasciato mesi fa, lei esprime, oggi, la triangolazione felice tra scultura, musica, e scienza che affonda le radici lontano. «Ho conosciuto pochissimo Maurizio – ci dice al telefono – perché la vita lo ha portato, sin da giovanissimo, sui palcoscenici di tutto il mondo, ma la sua mamma è stata per me una zia, molto, molto, importante, molto vicina alla mia gioventù. Maurizio girava per il mondo e a Rovereto è apparso solo sporadicamente. Ha avuto una vita internazionale e comunque era una persona estremamente solitaria, di carattere chiuso e riservato, che parlava e comunicava, al mondo intero, attraverso la sua musica e le sue sublimi interpretazioni».
Oggi a portare avanti un Dna che viene da lontano è il talentuoso figlio di Maurizio, Daniele Pollini, avuto dalla moglie Marilisa Marzotto, pure lei pianista, conosciuta a una lezione di armonia quando entrambi erano soltanto bambini; entrambi, cosa non da poco, formatisi sotto la guida di un Arturo Benedetti Michelangeli che, si narra, ebbe a dire: «C’è ben poco da insegnare a Pollini». Indimenticabili e commoventi sono, alla fine, le parole lasciate dal maestro, traccia di lettura indelebile per un’esistenza che un lessico familiare proveniente dal passato ha potuto collocare al di sopra dei canoni comuni: «Quando prendo in mano una partitura, o studio un pezzo, punto alla ricerca di aspetti comunicativi, a cose che davvero possono darci gioia. È un mio percorso profondo e personale. Non c’è niente da spiegare, non si può oggettivare l’emozione».