Acqua
venerdì 12 Aprile, 2024
di Simone Casciano
Se una rondine non fa primavera, un accumulo di neve maggiore di certo non testimonia il ritorno dell’inverno con la i maiuscola, ma è comunque una buona notizia. Dopo due di carenza d’acqua sembra che questa volta il rischio siccità sia stato scongiurato. I dati arrivano dalla Fondazione Cima, che da anni si occupa di calcolare l’accumulo nivale sulle montagne d’Italia, le riserve di neve che si accumulano d’inverno per poi, attraverso il processo di fusione, essere rilasciate sottoforma di acqua durante la primavera e l’estate quando ce n’è più bisogno sia per uso civile che, soprattutto, per l’agricoltura. La fondazione utilizza il valore di misurazione Swe o «snow water equivalent» per calcolare gli accumuli nivali e metterli a confronto la media costruita tra gli anni 2011 e 2022, si tratta quindi di una media che già risente del cambiamento climatico, se si potessero ottenere dati risalenti alla seconda metà del ‘900 molto probabilmente la differenza tra la media e i dati degli ultimi anni sarebbero stati ancora più impressionanti di quanto già non siano stati. La lunga siccità era cominciata due anni fa, per toccare poi il suo picco alla fine dell’inverno 2022/2023, in quel momento il deficit di acqua sulle montagne del Trentino, e quindi anche il deficit previsto per il bacino dell’Adige, aveva sfiorato il 50% rispetto alla media. Una situazione comune un po’ a tutto l’arco alpino e che spinse il Governo a dichiarare lo stato di emergenza e nominare un commissario dedicato per il tema. Furono poi le intense piogge primaverili a compensare, solo in parte, la carenza d’acqua. Quest’anno invece, per la prima volta in due anni, i dati finali, almeno per l’arco alpino, raccontano di un ritorno ai valori della media decennale. Dati che possiamo considerare definitivi per l’inverno. «Si è ormai chiuso il periodo nel quale, dai dato storici, possiamo aspettarci la maggior parte delle nevicate –scrive la Fondazione – Storicamente, infatti, in Italia il picco d’accumulo della ricorsa nivale si registra a marzo, e siamo ora nel periodo di fusione, quando, cioè, la neve inizia a diventare quell’acqua che alimenta i nostri fiumi e, con loro, tutte le attività che sfruttano questa risorsa, dall’agricoltura alla produzione di energia idroelettrica». E i dati definitivi sono come detto incoraggianti. «Le nevicate di febbraio e marzo sono riuscite a riportare in pari, per la prima volta da due anni, lo Snow Water Equivalent – che registra addirittura un leggero surplus rispetto alla mediana degli ultimi 12 anni», scrive la Fondazione. Ed effettivamente se si vanno ad analizzare i dati dell’acqua prevista nei fiumi del nord Italia la situazione è pressocché positiva. Per l’Adige il deficit rispetto alla media sarà solo del 4%, dieci volte in meno rispetto ad un anno fa, per il Po si prevede addirittura un surplus di acqua rispetto alle medie pari a un +29%. È importante però osservare che, anche per quanto riguarda le Alpi, la situazione non è uniforme e si osservano differenze importanti a seconda della quota. Infatti, lo SWE è positivo, sopra i 1800-2000 metri, dove lo zero termico non è ancora stato superato. Al di sotto di questa quota, però, il deficit rimane significativo.
«È come se ci fossero due inverni allo stesso tempo: uno nevoso in quota, e uno avaro di neve a quote medio-basse», commenta Francesco Avanzi ricercatore della Fondazione. In generale a livello nazionale si registra un surplus di acqua rispetto alla media decennale pari all’1%. La situazione però non è omogenea su tutta la penisola, se l’Adige tiene e il Po vive un momento positivo, altre zone e altri fiumi si trovano alla fine di un inverno drammatico. È il caso del Tevere dove quest’anno il deficit di acqua è pari all’80%, dell’Arno in Toscana (-65%) e dei fiumi della Sardegna. Gli appennini in particolare sono stati caratterizzati da un inverno molto secco e poi da un drastico aumento delle temperature già a marzo che hanno fatto fondere anticipatamente la neve, senza permetterne la conservazione per la primavera-estate. Al contrario, nel nord della penisola, le temperature in marzo si sono mantenute più in linea con quelle dello scorso decennio. Così, le abbondanti precipitazioni di fine febbraio e di marzo hanno consentito un accumulo di neve come non ne registravamo da ormai due anni. «Questi ultimi dati registrati sulle Alpi sono senz’altro una buona notizia, anche perché evitano una situazione di criticità per il terzo anno di fila», conclude Avanzi. «Se e quanto l’acqua ora finalmente presente nel bacino del Po sotto forma di neve potrà sostenere i mesi primaverili ed estivi, però, dipende dalle temperature. I dati ci hanno mostrato un significativo incremento dello Swe tra l’inizio e la metà di marzo, che stava però per essere seguito da un rapido declino, interrotto solo dalle ulteriori nevicate in arrivo. In altre parole, le temperature elevate possono ancora causare, anche sulle Alpi, fusioni precoci: perché sia davvero utile nei periodi in cui l’acqua ci è più necessaria, la neve deve restare tale ancora per alcune settimane».
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