La visita
domenica 14 Aprile, 2024
di Leonardo Omezzolli
Uno spazio per riflettere, per analizzare, per conoscere il presente attraverso il passato, per fare in modo che venga riscoperto un periodo storico che ha segnato non solo la storia italiana, ma quella dell’umanità. Su questi aspetti ha voluto riflettere il presidente del Consiglio provinciale Claudio Soini, che ieri pomeriggio ha presenziato all’inaugurazione della mostra «Arte e Fascismo» che il Museo di arte contemporanea di Rovereto Mart ha organizzato sulla spinta di un’idea del presidente dell’ente museale Vittorio Sgarbi. Un traguardo per Sgarbi che si è detto soddisfatto di aver portato a termine un obiettivo prefissatosi decenni addietro: «Chiamare le cose con il proprio nome imparando a definirle e non a censurarle o a segregarle – ha dichiarato nella folta platea dell’auditorium museale Sgarbi – L’arte è dell’individuo ed è scissa dal pensiero politico». Con questo elemento cardine in testa il presidente Soini si è avventurato nelle decine di opere e cimeli delle stanze della suddetta mostra osservando con attenzione i busti bronzeii, i fini reperti cartacei, i dipinti. Il tutto accompagnato da un sottofondo musicale contestuale che ha richiamato l’epoca e che viene trasmesso da antiche radio a valvole disseminate lungo il percorso. Un’esperienza che Soini ha vissuto e che gli è rimasta impressa seppure, ammette, di averla vista con troppa velocità. «Mi sono concesso una rapida visita e devo dire che la mostra merita un approfondimento e un’osservazione più attenta, ma quello che qui è esposto ci permette di riconoscere l’arte di un periodo storico. Quello che ha affermato Sgarbi – analizza Soini – è ben palesato nell’accurata scelta delle opere. Qui si riesce a vedere come l’arte sia dell’individuo, come le creazioni artistiche risentano sì di un contesto, ma appartengano all’elaborazione artistica». Insomma, per il presidente del consiglio provinciale il percorso offre la possibilità di riscoprire un periodo storico con la forza del nome che gli appartiene. Le sale mettono la persona e il visitatore davanti a una divisione chiara e sostanziale. L’opera, riflesso di un periodo storico che porta il nome di fascismo, che ne esalta e ne descrive l’essenza, ma che non per questo debba essere censurata, ma che va riscoperta in un’ottica di conoscenza. Non certo fine a se stessa, ma di una conoscenza che pone ogni visitatore ad affrontare il dualismo interiore di ciò che è stato e di come questo abbia avuto, comunque, un effetto di necessità espressiva. Un’espressività artistica che Sgarbi, nel suo percorso museale affronta partendo da dipinti che ad un primo colpo d’occhio non sembrano essere, almeno ai meno esperti d’arte, rappresentativi del ventennio fascista. Se ne vive l’evoluzione. Se ve vive la scoperta. «Ho potuto conoscere artisti e opere che io non conoscevo, che personalmente mi erano estranei – ha raccontato Soini – Questo non può che essere un pregio e un aspetto chiave se non essenziale della mostra». Si è costretti a uscire dal pregiudizio e a interrogarsi sulla necessità di applicare quell’arte e quei canoni alle opere. Si è costretti ad affrontare di petto la necessità di vivere gli artisti nel loro momento creativo. E, infine, si è costretti a dividere il contesto sociopolitico dall’arte vera e propria.