TRENTO FILM FESTIVAL
domenica 28 Aprile, 2024
di Mattia Pelli
Per fare un film di fantascienza non sono necessari straordinari effetti speciali e budget milionari: basta avere una storia da raccontare e il posto giusto per farlo, come dimostra per esempio un capolavoro come «Stalker» di Andrej Tarkovskij. Nel solco del grande regista russo prova ad inserirsi «Pyramiden» (da rivedere questa sera alle 19 al cinema Modena), film del francese Damien Faure, presentato ieri in Concorso al Trento Film Festival, che si apre con le immagini della natura selvaggia e priva di vegetazione dell’isola di Spitsbergen, in Norvegia.
Un uomo, il bravo David D’Ingeo (che ci regala un bel one man show), vive solo in una capanna in riva al mare ed è perseguitato dalla sua solitudine. Presto ci rendiamo conto che è probabilmente l’ultimo essere vivente ad essere rimasto sulla Terra, solitario e inseguito dall’incubo di un orso bianco pronto a divorarlo. Ma con i ghiacci, scioltisi a causa dell’attività umana, è scomparso anche questo impressionante animale e niente resta più tra l’uomo solo nella sua capanna e la morte, cioè l’estinzione anche dell’ultima creatura rimasta.
Dopo aver rinunciato al suicidio e spinto dai morsi della fame, il sopravvissuto si mette in cammino ed arriva ad un insediamento minerario abbandonato chiamato Pyramiden. Un insieme di edifici (scuola, abitazioni, teatro, cinema) dell’era sovietica, con tanto di busto di Lenin, abbandonato nel 1998 e rimasto praticamente intatto fino ad oggi. È in questo scenario di notevole impatto visivo che si svolge la parte centrale del film, nel quale si dipana la riflessione del regista attorno al destino dell’umanità. Il solitario protagonista scopre nel cinema locale una serie di vecchie pellicole che mostrano la vita dell’insediamento minerario: con quelle immagini Faure crea la tensione tra un passato scomparso e un futuro che non ci sarà.
L’ultimo uomo combatte contro se stesso e i suoi fantasmi e si prepara all’inevitabile, drammatica conclusione. Non senza però averci regalato un seme di speranza. Forse il paragone era ingeneroso fin dall’inizio per un regista al suo primo lungometraggio, ma comunque non aspettatevi di vedere un Tarkovskij.
Voto: 3/5