LA RECENSIONE
domenica 28 Aprile, 2024
di Carlo Martinelli
C’è la citazione iniziale – l’esergo, tecnicamente – che subito predispone alla lettura, accarezza. «C’è un momento particolare, quando si solleva una camicia dall’asse, per passare all’altro lato. Il sollevarla, l’osservarne le pieghe, crea un momento di felice sospensione. Una promessa di luce». È di Magdalena Hof-Bingendorf, tratta da Vom Buegeln («Dello stirare»), avverte l’autore. Il dubbio è immediato, ed aumenta la vertigine nell’affrontare le 86 pagine del racconto lungo o romanzo breve, fate voi, di Franco Stelzer, da ieri in libreria per i tipi di Hopefulmonster editore, a 12 euro.
«Sì», ammette il nostro, uno dei pochi, pochissimi scrittori trentini che stanno nella serie A del panorama letterario nazionale (e non solo: è tradotto anche all’estero), «sì, è una falsa citazione». Perfetta certamente per il suo Stiratore di luce, perché questo è il titolo del libro che ce lo restituisce alla lettura, dopo un bel po’ di anni, a confermare il suo stare appartato, parco nella produzione, splendente nella qualità della scrittura.
Nato nel 1956 a Trento, dove è tornato a vivere nel 2002, dopo lunghi soggiorni a Bologna e in Germania (a Friburgo, per sette anni, e la cosa ha molto a che fare con lo Stiratore di luce), ha lavorato per anni come insegnante di Lettere al liceo linguistico. Traduttore dal tedesco (Perutz, Ungar, Tumler, Gruenbein), ha pubblicato per Einaudi i volumi di racconti Ano di volpi argentate, Il nostro primo, solenne, stranissimo Natale senza di lei e per Il Maestrale il romanzo “Matematici nel sole. Di nuovo con Einaudi il romanzo Cosa diremo agli angeli. L’esordio è del 2000 e dunque in 23 anni sono cinque, con il libro di cui ci stiamo occupando, i titoli sfornati. Uno ogni cinque anni, praticamente. Come i film di Nanni Moretti, per stare nell’attualità che fa tanto discutere. Una produzione lenta, misurata, cesellata, quasi centellinata. Epperò, non un titolo sbagliato, non un libro che non lasciasse il lettore ammirato, smarrito, colpito e mai affondato, appagato, stupito. È un artigiano della parola, il nostro. Elabora trame che non assomigliano a nessun’altra.
Qui siamo nei pressi del Lorettoberg. È da lì che, alla prima riga, è rientrato dalla passeggiata mattutina il protagonista. Da un crinale montuoso di 384 metri e mezzo, vicino a Friburgo (ve l’avevamo detto) in Germania. Da lì rientra Bodo, perché il lavoro lo chiama. Con la mamma fa andare avanti una stireria in una città che non viene mai nominata ma che per forza di cose è Friburgo. Non si capisce quanti anni ha, Bodo. E nemmeno lui capisce bene le cose. Vive con la mamma, quest’anima umile, lavorano insieme nella loro bottega, una di quelle botteghe di una volta, con attrezzature obsolete, che la sedicente modernità spazzerà via. Lavano, stirano. A Bodo piace stirare le camicie. Le federe, meno. Quando è possibile, prima di andare a dormire, si affaccia alla finestra e la brezza che scende dal Lorettoberg lo conforta. Bodo si addormenta malinconico e sereno. È un cuore semplice, è abitato da una delicata demenza, ma ha degli entusiasmi a volte sconvolgenti, tenuti calmi a forza di farmaci, di psicofarmaci vien da pensare. Vuole bene alla mamma, la ascolta, le ubbidisce.
Poi, un bel giorno, incrocia lo sguardo della signora che abita proprio davanti alla stireria, dall’altra parte della strada. Gli scatta qualcosa dentro e quando la donna si trasferisce con la famiglia in Francia, ma poco lontano, appena al di là del confine, Bodo — spinto da un amore abbozzato, ingenuo, non certo adulto, epperò luminoso, innocente, puro – decide di andare a trovarla. A piedi. Incappando nella tappa del Tour de France che parte da Mulhouse per arrivare a La Planche des Belles Filles. E anche il racconto del passaggio dei corridori, della maglia gialla, il clamore dei tifosi lungo la strada sono parte della delicata, sussurrata costruzione di Stelzer.
Non diremo altro della trama. Diremo di Dario Voltolini che dirige Pennisole, la collana di tascabili che ospita Stiratore di luce. Dove «la scrittura, la sua qualità, è il perno centrale, in un nuovo spazio aperto alla creatività e alla fantasia, che accoglie il vario ed effervescente paesaggio della narrativa italiana». Nella postfazione Voltolini scrive che «come i fuoriclasse che nel loro sport fanno cose impensabili ma le fanno con tale scioltezza che nemmeno ce ne accorgiamo, Stelzer disegna questo ritratto e questa storia con una classe impeccabile. Non penso di esagerare se dico che, per il lettore che si accorgerà di come è stato creato, Bodo diventerà con naturalezza uno dei suoi personaggi interiori».
Stelzer è autore appartato, di culto quasi, non a caso approdato ora ad una casa editrice che si dice «indipendente, orgogliosamente lontana dalle logiche mainstream». Di uno dei suoi precedenti titoli scrivevamo che Stelzer affronta la pagina come un entomologo scruta un insetto. Coglie dettagli, illumina particolari per i più insignificanti, scava con la alacre diligenza di un archeologo, sa porgere uno sguardo commosso e compassionevole sulle pieghe e sulle piaghe della nostra fragile, spesso incomprensibile, esistenza. Così Bodo, il caro, indimenticabile Bodo cosa avrebbe potuto essere, se non uno stiratore di luce?