L'intervista
mercoledì 1 Maggio, 2024
di Alberto Folgheraiter
Nativo di Spiazzo Rendena, notaio da 32 anni, conservatore tavolare, tre figlie che vivono a Roma, Gianluca Rosa ha sfidato la Storia e l’ha piegata, sia pure per un paio di giorni, ai suoi desideri di giovane studente appena laureato in giurisprudenza. Lo fece con una lunga lettera e qualche telefonata. Fu lui, infatti, giusto quarant’anni fa, nella tarda primavera del 1984, a invitare papa Wojtyla sulle nevi dell’Adamello. Giovane maestro di sci, alpinista e rocciatore, per preparare il concorso nazionale da notaio era finito in una villa sui colli albani. Dalle parti di Castelgandolfo dove, quell’estate, il papa «venuto da lontano» trascorreva qualche giorno di vacanza.
Il notaio Rosa non ha mai rilasciato interviste. Qualche anno fa ha pubblicato la sua straordinaria intuizione e fornito alcune immagini a Giorgio Gelmetti che ha dato alle stampe un corposo volume su «Papa Wojtyla in Trentino». Il racconto di vari giornalisti che furono testimoni delle visite del papa da queste parti: in Marmolada (1979); sull’Adamello (1984, 1988); a Stava (1988); a Trento (29-30 aprile 1995).
Cominciamo dal principio. Dottor Rosa, quando decise di invitare il papa a sciare?
«Ho sempre ammirato la figura di papa Wojtyla, fuori dagli schemi, sportivo, vicino ai giovani. E dicevo, tra me, che sarebbe stato bello offrirgli un soggiorno in Adamello dove andavo a fare la scuola estiva di maestro di sci».
Un sogno un po’ audace se non un’utopia.
«L’occasione si è presentata quando mi sono trovato dalle parti di Castelgandolfo, in una villa che mi era stata messa a disposizione dall’ingegner Segnana di Trento che avevo conosciuto per caso. Avevo pochi soldi e mi offrì di fare da custode per tutto il tempo di preparazione agli esami».
Ma c’erano molti altri che vivevano o vivono da quelle parti e a nessuno, probabilmente, è balenata d’idea di invitare il papa a sciare.
«Una mattina ho sentito al Giornale Radio della Rai che il papa si trovava a Castelgandolfo. Ho preso l’elenco telefonico (allora non c’erano i telefoni cellulari) e molto ingenuamente mi sono detto: che cosa cerco, “papa”? Poi ho trovato in grassetto il numero sotto “Amministrazione delle ville pontificie”».
E ha chiamato?
«Certo. Mi hanno scaricato rapidamente dicendomi che il papa non era più lì e che, se dovevo proporre qualcosa, chiamassi direttamente il Vaticano. L’ho fatto, non senza qualche titubanza. Mi sono presentato, ho detto che ero uno studente che faceva il maestro di sci e che mi sarebbe piaciuto invitare il papa a sciare sull’Adamello».
Un bell’azzardo.
«Sì. Ad ogni modo mi suggerirono di scrivere una lettera al segretario particolare, monsignor Stanislaw Dziwisz (poi cardinale di Cracovia). Scrissi che anch’io sentivo la mancanza delle mie montagne, della neve, ma la mia era stata una scelta momentanea mentre per Karol Wojtyla, che era coetaneo di mio papà, si trattava di una costrizione, di un allontanamento definitivo».
Era la tarda primavera del 1984.
«Una primavera molto piovosa. A quella lettera il segretario particolare non rispose. Ma io, un po’ furbescamente, avevo concluso: se non mi rispondete, fra un mese vi richiamo».
E lei chiamò?
«Un mese dopo chiamai il centralino del Vaticano (6942). Mi fecero attendere un attimo e mi passarono monsignor Stanislao. Disse che ricordava quella lettera anzi, mi invitò a passare in Vaticano. Il giorno seguente, se possibile».
Ma lei stava partendo per Napoli per seguire una lezione e rinviò l’incontro.
«Vi andai due giorni dopo. Il segretario particolare del papa fu molto cordiale, tirò fuori da una cartella la lettera che avevo inviato e che papa Wojtyla aveva letto e siglato di suo pugno. Cosa piuttosto insolita perché solo le lettere ritenute importanti vengono passate al papa».
Concordaste il viaggio sull’Adamello?
«Assolutamente no. Monsignor Stanislao mi trattenne per circa mezz’ora e mi congedò regalandomi un rosario del papa. Non accennò ad alcuna possibilità di una “scampagnata” papale. Si era informato sui miei spostamenti, sapeva chi ero».
Passò circa un mese.
«Io ero tornato a casa mia, a Spiazzo Rendena. Squillò il telefono. Era monsignor Dziwisz. Disse che si trovava a Bolzano e stava tornando a Roma dalla Polonia assieme ad altri prelati. Lo invitai, così su due piedi, a fare un salto da noi, in Val Rendena, per vedere da vicino le nostre montagne».
Il puzzle si stava componendo.
«Venne coi suoi compagni di viaggio e per l’indomani organizzai una salita sull’Adamello. Pioveva, ma la macchina ormai era in moto. In alta val di Genova le nuvole minacciavano un diluvio. Salimmo comunque. In prossimità del rifugio il cielo si spalancò. C’era neve fresca e i prelati polacchi si informarono sui servizi e le stanze disponibili nel rifugio “Caduti dell’Adamello”».
Ma anche in quella occasione non le fecero alcuna promessa.
«Io seppi dell’arrivo del papa solo tre giorni prima. Mi telefonò monsignor Stanislao dicendomi: “È tutto a posto. Ci sarà anche una persona importante ma anziana. Fai in modo che su al rifugio ci sia una bombola di ossigeno”. Affidai il compito a un mio amico medico-rianimatore, il dottor Cozzio».
Non le disse che il papa sarebbe stato accompagnato dal presidente della Repubblica, Sandro Pertini?
«No, non mi disse nulla. Anzi, si raccomandò perché non ne parlassi con alcuno».
Ma lei aveva dovuto coinvolgere i titolari del rifugio, la famiglia Zani.
«Per forza, tant’è che alcuni ospiti che avevano prenotato per il 16 e 17 luglio 1984 con una scusa furono dirottati altrove».
La mattina di lunedì 16 luglio il papa polacco e il presidente della Repubblica arrivarono in elicottero ai 3.040 metri del rifugio «Caduti dell’Adamello». Furono accolti da Gianluca Rosa, da suo fratello, dal medico Andrea Cozzio e dalla famiglia Zani. La «fuga» del papa dal Vaticano per una breve vacanza sugli sci doveva restare segreta. Rientrato a Roma nel pomeriggio di quello stesso giorno, il presidente Pertini aveva fatto diramare una breve nota. La notizia fece rapidamente il giro del pianeta. Le agenzie internazionali offrivano 50 milioni di lire (25 mila euro) per una fotografia del papa sugli sci. Le immagini c’erano. Le avevano colte i fratelli Zani, Gianluca Rosa e suo fratello, ma i rullini erano stati consegnati al Vaticano che, per evitare speculazioni, le diffuse l’indomani, mentre il papa tornava a Roma. Ci fu qualche giornale che poi titolò: “Vale 50 milioni lo slalom del Papa».
Ha mai saputo perché il Papa decise di arrivare fin sull’Adamello?
«Non me lo ha mai detto, ma credo che avesse desiderato salire in Adamello perché suo papà aveva combattuto da quelle parti durante la Grande guerra».
Ha più rivisto papa Wojtyla?
«Sì. Quando venne a Trento, il 29 aprile 1995 per proclamare beato il vescovo Tschiderer. Ero in Duomo, mi riconobbe e si avvicinò per salutarmi».
Che cosa resta di quegli incontri?
«Una grande gioia, un grande rimpianto».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)