Val di Sole
mercoledì 1 Maggio, 2024
di Francesca Dalrì
Perdere un figlio appena nato è un’esperienza che ti stravolge la vita. Impossibile da raccontare, almeno parole. Un’esperienza che può spingere a chiudersi in se stessi, ma che può anche far nascere «la voglia di andare sempre più in alto, scoprire cosa c’è al di là». Proprio la voglia che il regista Giacomo Bolzani ha intravisto in Alberto Cogoli, spazzacamino della Val di Sole cresciuto a Ossana e oggi residente in Val di Non, la prima volta che l’ha incontrato. E che è poi scaturita in un documentario di 57 minuti presentato in questi giorni al Trento Film Festival. «Calugem. Storia di un padre sui tetti» – questo il titolo della proiezione – dal dialetto trentino caligine, fuliggine. «Cercavo una parola che appartenesse al territorio, un suono riconducibile al mondo di Alberto – ci spiega il regista –. Questa parola evoca anche il nome di una possibile creatura fantastica: il Calugem. Mi piaceva». Dietro «Calugem» c’è Alberto, padre di tre figlie, dinamico e irrequieto, che durante i saliscendi fuligginosi si interroga sul mondo e su come diventare un buon genitore. «Ho conosciuto Alberto qualche anno fa quando, in occasione di un corto-documentario che stavo girando sul gioco della morra, l’amico musicista Oscar de Bertoldi (ai più noto con il nome d’arte di Felix Lalù, ndr) mi portò a un campionato di morra al confine italo-francese – racconta Bolzani –. In macchina con noi c’era anche Alberto che mi apparve subito come il giocatore con l’energia più forte, con la sua foga nello sbattere i pugni sul tavolo durante il gioco. Nei tre giorni trascorsi assieme cercai di approfondire la conoscenza, scoprendo che di lavoro faceva lo spazzacamino, un mestiere che io non sapevo nemmeno esistesse ancora». Il lavoro è stata la scintilla, ma poi si è acceso il fuoco. «Alberto ha iniziato a raccontarmi delle sue ossessioni e dei suoi sogni ricorrenti: ho capito subito di trovarmi di fronte a una persona abituata a pensare molto e ad andare in profondità, una persona alla ricerca del senso della vita. La sua incredibile energia è sì fisica, perché non è mai fermo, ma è soprattutto un’energia emotiva grazie alla sua sensibilità e attenzione al mondo che lo circonda. A suo modo Alberto lo definirei un filosofo». Così è nata l’idea del documentario, che per cinque mesi consecutivi ha visto Bolzani seguire Cogoli nel suo lavoro quotidiano di spazzacamino 3-4 giorni al mese, su e giù per i camini di tutta la Val di Sole. «Inizialmente seguivo la pista delle sue ossessioni – spiega il regista –, ma alla fine i temi della fraternità, della famiglia, dell’amore per il territorio hanno preso il sopravvento. Con Alberto mi sono subito trovato in sintonia sui valori umani e sullo stile con cui stiamo al mondo». Su e giù per i camini, dentro e fuori le case dei solandri, fino alla salita al bivacco Jack Canali, ultima tappa del loro viaggio verticale verso l’alto. Un viaggio durante il quale Cogoli si è aperto sempre di più. «Io ce l’ho un figlio al cimitero, ma non vado mai a trovarlo lì – lo si sente raccontare nel documentario –. C’è il figlio lì o quello che era? C’è un corpo che si sta dissolvendo». Nel documentario la morte, tabù del mondo occidentale, diventa occasione di senso e di vita. Dopo la morte? «Non è che non ci sarò più – risponde Cogoli –, avrò cambiato forma: magari sarò un soffio di vento, uno zampillo d’acqua: perché no? Pensa che viaggi si fa l’acqua: si fa il mare, poi il cielo, poi arriva a spegnere un incendio in Argentina, poi disseta un bambino a Hong Kong».