La vicenda

lunedì 20 Maggio, 2024

Dal sogno all’incubo americano, la storia di Chico Forti: il windsurf, la vincita a Telemike e l’arresto a Miami

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La vita del trentino tornato in Italia dopo ventiquattro anni di carcere in America

La storia di Enrico «Chico» Forti comincia a Trento l’8 febbraio del 1959. Forti, prima di diventare protagonista di una lunga odissea giudiziaria che lo ha portato a trascorrere 24 anni in carcere per un omicidio da cui si è sempre dichiarato estraneo, è stato un campione di windsurf e vela. Fu uno dei primi al mondo a eseguire un salto mortale all’indietro con la tavola e partecipò a discese estreme con gli sci. La sua carriera sportiva però terminò a causa di un incidente automobilistico nel 1987. Dopo aver chiuso con le gare, si reinventò come giornalista sportivo, produttore televisivo e organizzatore di eventi. Personaggio vulcanico, riuscì a dare una svolta alla sua vita nel 1990 partecipando a Telemike come esperto di storia del windsurf. Rispondendo correttamente alle domande più difficili, vinse una somma considerevole, che usò per trasferirsi negli Stati Uniti un paio di anni dopo. Lì sposò Heather Crane, con cui ebbe tre figli. All’inizio, Chico Forti visse il classico sogno americano: alcuni investimenti immobiliari azzeccati gli permisero di accumulare una piccola fortuna e la sua casa di produzione cine-tv ebbe grande successo, ma la catastrofe era dietro l’angolo.
La morte di Dale Pike
La storia di Enrico «Chico» Forti prende una piega drammatica il 16 febbraio del 1998. Quel giorno un surfista ritrovò, in un boschetto vicino a Miami, il cadavere dell’australiano Dale Pike, 42enne, ucciso con due colpi di pistola calibro .22 alla nuca e denudato. Pike era arrivato in Florida il giorno prima proprio per incontrare Forti che, dopo averlo accolto all’aeroporto, gli aveva dato un passaggio in auto fino al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove lo aveva lasciato intorno alle 19. Pike sarebbe dovuto rimanere in zona, in compagnia di alcuni amici, in attesa che Chico Forti e suo padre, in quel momento a New York, finalizzassero la vendita all’italiano di un albergo a Ibiza. Fu invece ucciso lì vicino in un intervallo di tempo tra le 20 e le 22 (come emerse dallo studio della scena del delitto e dalle analisi sul cadavere), quindi poco dopo l’incontro con Forti, che verso le 20 era comunque tornato nella zona dell’aeroporto di Fort Lauderdale di Miami. Tre giorni dopo il ritrovamento del corpo Forti fu convocato dalla polizia come persona informata dei fatti. Inizialmente Forti negò di aver incontrato Pike quel giorno poco prima della sua morte. Amici e famigliari hanno sempre sostenuto che lo avesse fatto perché spaventato dalla notizia che anche il padre di Pike fosse stato ucciso. La notizia comunicata dalle autorità non era però vera, perché in realtà Tony Pike era vivo e sotto la protezione della polizia dopo la morte di Dale.
L’arresto e il processo
La sera del 20 febbraio Forti tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d’affari con il padre della vittima, ma senza l’assistenza di un legale. In quell’occasione, fu arrestato e sottoposto a un interrogatorio di ben 14 ore durante il quale ritrattò la sua prima versione, ammettendo di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio poco tempo prima che fosse ucciso. Dopo essere stato liberato su cauzione, nei venti mesi seguenti fu scagionato dagli otto capi d’accusa che riguardavano la frode. Tuttavia, l’elemento della frode fu utilizzato dall’accusa come movente nel processo per l’omicidio di Dale Pike. L’accusa al processo sostenne infatti che Forti avrebbe ucciso Dale Pike perché preoccupato che questi ostacolasse l’acquisizione dell’albergo, secondo gli investigatori Pike era andato a Miami per recuperare quanto «sottratto» al padre.
L’arringa finale del processo si tenne il 15 giugno del 2000. Un monologo per l’accusa, con la difesa impossibilitata a replicare. Questo perché gli avvocati di Forti consigliarono al loro assistito di non testimoniare, ma così facendo rinunciarono alla possibilità di avere l’ultima parola e lasciando campo libero all’accusa che poté raccontare la propria ricostruzione alla giuria senza la possibilità di essere smentita. Un aspetto che famigliari e amici hanno sempre ritenuto determinante nella condanna all’ergastolo poi comminata dalla giuria e dal giudice.
Una lunga lotta
Da lì la storia di Chico Forti diventa anche quella delle tante persone che dall’Italia, ma anche negli Stati Uniti, si spendono per la sua causa. La storia di mamma Wilma e dello zio Gianni, che non hanno mai perso la speranza, degli amici del Comitato, che con tenacia hanno portato avanti visite all’amico, eventi per la raccolta fondi e richieste di attenzione alla stampa locale e internazionale. La storia dei tanti politici e dei governi che pubblicamente o in silenzio hanno lavorato per l’esito finale: riportare Enrico «Chico» Forti in Italia a riabbracciare la sua mamma.