cronaca
mercoledì 5 Giugno, 2024
di Sara Alouani
I giudici della Corte d’assise d’appello di Firenze hanno condannato a 3 anni di reclusione e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici la 36enne statunitense Amanda Knox per il reato di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba nell’ambito della vicenda giudiziaria per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher. Quello che si è concluso oggi era l’appello bis resosi necessario dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato la condanna a 3 anni, disponendo il rinvio a un nuovo collegio giudicante.
La 36enne statunitense è stata già assolta in via definitiva, insieme a Raffaele Sollecito, per l’assassinio della studentessa inglese avvenuto a Perugia la sera del 1 novembre 2007. Pochi giorni dopo il delitto, in un memoriale, Knox indicò agli inquirenti Lumumba, all’epoca suo datore di lavoro in un pub perugino, come il presunto autore del delitto.
Amanda Knox scrisse il memoriale il 6 novembre 2007 prima di essere trasferita in carcere perché accusata a sua volta dell’omicidio di Meredith. Per l’omicidio della studentessa inglese l’unico condannato a 16 anni in rito abbreviato è stato Rudy Guede. Patrick Lumumba, invece, venne definitivamente scagionato dopo aver trascorso in carcere 14 giorni.
Il procuratore generale Ettore Squillace Greco e la parte civile, sostenuta dall’avvocato Carlo Pacelli, avevano chiesto la conferma della condanna, mentre i difensori della statunitense, gli avvocati Carlo Dalla Vedova e Luca Luparia Donati chiedevano che fosse assolta con formula piena. Knox, presente in aula con il marito Christopher Robinson, ha reso dichiarazioni spontanee alla corte, sostenendo che non voleva accusare Patrick, suo datore di lavoro ma anche suo amico, rammaricandosi per non essere riuscita a resistere alle pressioni della polizia. «Ero una ragazza di 20 anni spaventata, ingannata, maltrattata dalla polizia- ha spiegato alla corte – Il 5 novembre 2007 è stata la notte peggiore della mia vita. Pochi giorni prima la mia amica Meredith era stata uccisa nella casa che condividevamo. Ero scioccata, era un momento di crisi esistenziale. La polizia mi ha interrogata per ore in una lingua che non conoscevo. Si rifiutavano di credermi, mi davano della bugiarda, ma io ero solo terrorizzata. Non capivo perché mi trattavano in questo modo, minacciandomi di farmi avere una condanna a 30 anni se non ricordavo ogni dettaglio. Un poliziotto mi ha anche dato uno scappellotto in testa dicendomi: ‘ricorda’».