Calcio
venerdì 21 Giugno, 2024
di Lorenzo Fabiano
Tanta Spagna, poca Italia. Una dura lezione, che il tabellino non la dice tutta. Uno a zero, timbrato da un’autorete di Calafiori, ma il passivo avrebbe potuto essere ben più pesante se a non far crollare del tutto la baracca non ci avesse pensato Donnarumma, l’unico a salvarsi nella nottataccia di Gelsenkirchen. Inferiori in tutto, nell’approccio, nel gioco, nella tecnica individuale e persino nella condizione atletica. Certo, nulla è compromesso e lunedì sera il turno lo possiamo comunque passare con un pareggio a Lipsia contro la Croazia (ma attenzione, sarà durissima), ma poi? Il confronto con gli spagnoli è stato impietoso: il loro talento in abbondanza, la qualità e la rapidità nel ricamo del passaggio, la tecnica individuale sopraffina al servizio della squadra hanno messo a nudo tutti limiti di un gruppo forse sopravvalutato (ci capita spesso, bastava rileggere pezzi di fanfara sui giornali dei giorni scorsi). Abbiamo ruminato calcio, e calci, per tutta la sera; mettere insieme due passaggi? Un’arrampicata sulla parete nord dell’Eiger; saltare l’uomo? Tseee, neanche parlarne; tiri in porta? Zero. Eppure, alla vigilia le cose ci erano state presentate diversamente. Il nostro loquacissimo Cittì si era sperticato in iperboli tirando in ballo persino l’eleganza del vestito di Armani (???), predicando ai quattro venti che sì, ce la saremmo giocata alla pari… bla bla bla, avremmo fatto la partita… bla bla bla, e che il nostro calcio non è fatto di difesa e contropiede… bla bla bla. L’idea, piuttosto balzana e presuntuosa, è durata giusto 45 minuti in cui la Spagna ci ha presi a letteralmente pallonate e solo grazie alle prodezze del nostro portierone non è passata; sfangato il peggio e vista la mal parata, il nostro stratega conferenziere ha quindi pensato bene di rinforzare gli argini aggiungendo classe operaia, in mezzo con Cristante e sulla fascia con Cambiaso (pensare che all’ala destra ai tempi belli avevamo gente come Meroni, Domenghini, Causio, Claudio Sala, Bruno Conti, Donadoni, ti fa venire l’ulcera), ma sconfessando così tutti i proclami della vigilia. Te lo do io il calcio propositivo…, questi siamo. Oggettivamente, mediocri. È finita in una sconfitta che non fa una piega e che avrebbe potuto, e forsanche dovuto, essere più severa. Ma una sconfitta, va detto, che viene anche da lontano, figlia di un sistema che non vuol saperne di cambiare e riformarsi e di vecchie, ahinoi, magagne e annesse lagnanze che il trionfo di tre anni fa a Wembley ha solo in parte mascherato. Da almeno cinque lustri abbondanti la Spagna continua a sfornare talenti in serie, dalla loro “cantere” germogliano virgulti che trovano poi spazio per esprimersi nelle prime squadre. Qualche esempio? Nico Williams, l’incubo del povero Di Lorenzo, ha 21 anni come 21 ne ha Pedri; Lamine Yemal non ne ha ancora 17 (va a scuola e in Germania ha con sé libri e quaderni per i compiti), e dire che a casa a recuperare dall’operazione al ginocchio è rimasto Gavi, che di anni ne ha 19. Sembrano già degli adulti navigati, son dei ragazzini. Fortunati a essere nati e cresciuti lì, in un Paese che guarda e crede nel futuro. Da noi farebbero invece tanta, ma proprio tanta fatica a trovare quella stessa fiducia; è la solita vecchia storia trita e ritrita, roba del tipo “non è pronto”, “deve maturare”, “non ha ancora la mentalità” e via dicendo. Poi succede che tanti promettenti ragazzi italiani rimangono tali e finiscono col perdersi per strada. Ci salveranno allora, come nell’atletica, i ragazzi italiani di seconda generazione? Potrebbe essere, qualcuno lo abbiamo già (Folorunsho è della spedizione, Udogie è appena tornato a casa dall’infermeria), ma se continuiamo ad andare a rifornirci, e spesso di bidoni, all’estero anziché curarci del prodotto autoctono, non si vede come si possa uscire da questo meccanismo perverso. Alla faccia del sovranismo sbandierato dalla propaganda nazionalpopolare, verrebbe da aggiungere. La sostanza sta allora nel titolo di un film, poi fortunatissimo programma radiofonico, di Giovanni Veronesi: l’Italia non è un Paese per giovani. La notte di Gelsenkirchen ce lo ha ricordato, con un bel calcio nel sedere. Del tutto meritato.