la polemica
martedì 2 Luglio, 2024
di Marco Ranocchiari
Più grande di prima (con 17 metri per sette di altezza è il drago più grande del mondo), nero nelle sue membra fatte, stavolta, di legno bruciato (in parte degli stessi tronchi che mano ignota, un anno fa, aveva dato alle fiamme la statua precedente). Il Drago Vaia è tornato alla sua dimora sopra la frazione Magrè di Lavarone, e ieri è stato inaugurato in pompa magna. A salutarlo c’era una folla di quasi 300 persone (l’ingresso era a numero chiuso) e – oltre allo scultore, Marco Martalar – una folta rappresentanza delle istituzioni locali (i sindaci di Lavarone e Folgaria Isacco Corradi e Michael Rech, il presidente di Lavarone Green Land) e provinciali, con il presidente Fugatti e la vice Francesca Gerosa. «La grande partecipazione popolare che vediamo – ha dichiarato Fugatti – testimonia come quest’opera sia particolarmente sentita dalla comunità e da chi vive la montagna, perché oltre alla sua bellezza contiene in sé valori profondi e caratteristiche tipiche del territorio in cui è inserita, da un punto di vista ambientale, culturale, paesaggistico. È anche una testimonianza di un dramma vissuto dalla comunità, che però ha dimostrato di saper trasformarlo in qualcosa di bello e a disposizione di tutti». Proprio il percorso partecipativo che ha reso possibile la nuova versione, con il crowdfunding cui hanno aderito oltre 1600 donatori, ha segnato la cerimonia, allietata dagli interventi musicali del gruppo Berserk. «È la partecipazione che ci ha dato coraggio», ha commentato l’artista Martalar. «Le mie opere spesso nascono dalle disgrazie ma sono uno stimolo alla creatività, chi pensava di farmi un torto mi ha fatto un piacere». Un’opera che illustra la «continuità del rapporto tra uomo e natura» e che, per il sindaco di Lavarone Corradi, attira una frequentazione della montagna a lungo respiro che va ben oltre il turismo mordi e fuggi, «l’esercito dei selfie». Dall’opera, tra le altre cose, sono nati libri, cataloghi e una serie di prodotti culturali tra cui un documentario, in arrivo, «Nella pelle del drago», annunciato durante la cerimonia.
Eppure, nelle frazioni all’ombra del drago, non tutti hanno una visione così trionfale. «Nulla contro il drago in sé, ma le frazioni sono state invase dalle auto e da folle che arrivavano per poco tempo, soprattutto a Magrè, dove non ci sono nemmeno strutture ricettive, quindi non ci hanno guadagnato nulla», commenta senza reticenze Debora Rech, che gestisce il bar del centro sportivo Moar. «Ricostruirlo proprio qui, dove evidentemente la cittadinanza non lo voleva, mi è sembrato una mancanza di rispetto. Abbiamo tanto spazio, non potevano farlo più lontano?». Felice del drago, ma scettico sui suoi benefici, Tiziano Calzolari, dal bancone del suo Tennis bar alla frazione Cappella. «È bello, sì, e Lavarone ha bisogno di gente», commenta facendo cenno alle strade quasi deserte. «D’altronde – continua – quelli che arrivano sono turisti che arrivano, si fanno una foto e se ne vanno. Il 90% si porta pure il panino, così qui, per me, cambia veramente poco». Per prevenire i disagi nelle frazioni più in alto, in particolare a Magrè, il Comune ha provveduto a realizzare un nuovo parcheggio a mezzo chilometro dall’abitato e installare una segnaletica minacciosa fitta di divieti d’accesso alle auto e avvisi di videosorveglianza. «I divieti? Quelli c’erano anche l’anno scorso, ma i turisti non li hanno mai rispettati», taglia corto Laura Barbieri che, zaino in spalla insieme alla figlia, torna a Magrè per l’estate. È milanese ma, come molti proprietari delle seconde case, ha un pezzo di famiglia negli altipiani cimbri. «Ci passo le estati da sempre. Certo, qui non ci lavoro quindi da questo punto di vista non posso parlare, ma questo turismo di sostenibile non ha niente, e qualcuno ci specula. Per fare il terrapieno su cui mettere la statua hanno distrutto un pezzo di collina, i sentieri li hanno fatti diventare strade». Un altro villeggiante, Sergio Havè, concorda: «Vengo qui per la pace, certamente non ce l’abbiamo più. E neanche il parcheggio. Però – sorride – questo drago mi piace molto di più del primo». A Magrè, tra gli «autoctoni», non sono in tanti ad aver voglia di esporsi. «È bello il drago, speriamo però che non si ripeta il caos dell’anno scorso», sospira una donna che non vuole dire il nome prima di riprendere a lavorare il suo orto. Nelle frazioni più in basso il giduzio è più positivo: «Ci voleva! Prima nessuno sapeva neanche dove fosse Lavarone, adesso me lo trovo sulle parole crociate. E sì deve conoscere perché qui è un paradiso», commenta la signora Gianna, classe 1933, nella frazione Gasperi. «Sono molto contento che ci sia, la gente serve», commenta nella stessa frazione, Alberto Trentini «Ma vede, è un piccolo posto, molti non amano il nuovo. Sono sicuro che tanti avrebbero detto no anche 50 anni fa, quando è arrivato lo sci».