L'intervista
sabato 20 Luglio, 2024
di Alberto Folgheraiter
Lorenzo, figlio di Bruno Kessler, resta un appassionato del gioco della morra. «Io posso parlare della Val di Sole, perché sono sempre lì. Domenica (7 luglio) è stata inaugurata una baita, ristrutturata dal comune al lago di Barco. C’erano su tanti giovani i quali hanno giocato alla morra tutta la sera. Da noi si gioca ancora dappertutto».
Perché era un gioco proibito?
«Perché ‘sti ani’ si giocava a soldi. E si voleva evitare che qualcuno si rovinasse. Se a questo si aggiunge che, quando si giocava alla morra, poteva capitare che qualcuno bevesse troppo e diventasse ubriaco molesto, ecco spiegata la proibizione di un tempo».
Era considerato un gioco d’azzardo.
«La posta in palio di denaro non era diffusa, anche perché, negli anni in cui fu proibita la morra, la maggior parte della gente faticava a mettere insieme il pranzo con la cena. La morra è anche un gioco sanguigno».
Come funziona?
«C’è uno che tiene i punti e ci sono due squadre, di solito composte da due giocatori ciascuna. Poi c’è un quinto uomo che tiene i punti e che si chiama “la siora”».
E fa da giudice-arbitro?
«Talvolta, ma non in modo così rigoroso come in altre competizioni. Il suo compito è quello di tenere i punti perché è un gioco molto veloce. Poi può entrare nel merito della gara…».
Perché talvolta si imbroglia, no?
«Capita. Dipende dalle compagnie, comunque non è una figura formale di giudice».
Si gioca tutte le domeniche?
«Non è una cosa codificata. Si gioca quando c’è l’occasione, quando ci si ritrova tra amici o per una festa paesana. Quando organizzo una grigliata nella mia baita, su in val di Sole, dopo aver mangiato c’è chi dice: “Dài che fen do ponti ala mora”».
E per vincere quanti punti servono?
«Vince la coppia che riesce a fare 15 punti. Poi si dà la rivincita. In caso di pareggio tra le due partite se ne disputa una terza. Quando una squadra arriva a 10 punti e ne mancano 5 per vincere “la siora la dis: l’èi rossa”. È una sorta di segnale d’allarme».
Quanto dura, mediamente, una partita?
«Pochi minuti».
In una serata, pertanto, capita di giocare molte partite…
«Si fa notte fonda, di solito».
Un po’ come le ciliegie, una tira l’altra…
«Ecco, proprio così».
E dove sta il divertimento nel battere i punti della morra?
«Nell’abilità. Devi capire quali sono le “routine” dell’avversario. Vale a dire quante volte l’avversario ripete lo stesso numero con le dita. O lo alterna. Poniamo: io chiamo “sei” perché penso che la somma delle dita di una mano che io apro sul tavolo e le dita calate dall’avversario facciano sei».
Lei magari cala il cinque e l’avversario uno.
«Certo. Alla seconda o terza battuta il mio avversario torna a calare uno. Sta a me anticiparlo e replicare il cinque. Insomma è un gioco di furbizia e di destrezza».
Anche di grande concentrazione.
«Certo, perché devi capire qual è la routine. Devi coordinare la mente con le dita per intercettare ciò che potrebbe fare l’avversario. Non è un gioco banale».
Può capitare che nessuno dei due indovini la somma chiamata.
«Qui sta l’abilità del giocatore nell’ipotizzare la cifra vincente».
I giocatori di morra usano anche uno slang tutto loro. È così?
«Dipende dalle zone geografiche. Per dire il numero 6, in val di Non dicono “cés”, in val di Sole dicono “cè”. Per indicare il numero 10 si dice: “tutta quanta”; “slarga la barca”; ci sono tanti termini perché è un gioco anche folcloristico».
Partiamo dal numero 2.
«Si dice: doi sol; per il 3: trema el Papa; il 4: càter caranta; per il 5: cic cicone; e via di seguito. Il linguaggio risponde a un ritmo di gioco. Una sorta di danza della parola».
Varia da zona a zona?
«Certo, nelle valli lombarde il gioco è molto più veloce che da noi. Ma da noi la morra è più cantata».
Si pratica solo in ambienti privati?
«Anche al bar, come una volta. Ma è chiaro che se ci sono turisti non ci si mette a giocare alla morra».
Le è mai capitato di giocare alla morra con qualche personaggio del mondo politico nazionale?
«Beniamino Andreatta quando vedeva mio papà giocare si divertiva. Da economista guardava con interesse perché si tratta pur sempre di numeri e di psicologia. Ma lui non ha mai battuto la morra».