Lo sportivo

lunedì 22 Luglio, 2024

Matteo Malfer, ambasciatore dello sport universitario: «Passione, valori, benessere»

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Il giovane di Daiano, ex agonista di sci nordico, è fresco di laurea in Scienze diplomatiche a Forlì. La nomina lo scorso anno

Lo sport come pratica, cultura e benessere psicofisico. Lo sport come impegno sociale e veicolo di rapporti internazionali, lo sport come valori da raccontare attraverso le biografie. Non è facile incrociare persone che declinano e vivono lo sport come fosse un caleidoscopio, con una ricchezza di colori, sfumature e diverse simmetrie. Matteo Malfer a neppure 22 anni rappresenta la quintessenza di quanto sopra.
Agonista senza medaglie, sciatore per diletto (ma si allena tutti i giorni…), dallo scorso anno rappresenta a Losanna l’Italia come Ambasciatore dello sport universitario. Il giovane di Daiano è fresco di laurea in Scienze internazionali diplomatiche a Forlì, ora lo attende La Sapienza di Roma per la magistrale in Relazioni internazionali. Il sogno – a questo punto ovvio – è di poter coniugare in futuro gli studi con la sua passione.
Matteo, domanda d’obbligo: quali sport pratica o ha praticato?
«Calcio, nuoto, ciclismo con il Val di Cembra, ma soprattutto sci nordico, sin da piccolo, con i colori dell’Unione Sportiva La Rocca di Daiano. L’università ha interrotto l’agonismo, ho abbandonato il circuito Fisi per dedicarmi alle gran fondo, come Marcialonga, Pustertaler, Dolomiten Lauf. Il prossimo anno la Vasaloppet. In questo modo riesco a gestire meglio la preparazione nel corso dell’anno».
Con un occhio al cronometro?
«Di solito mi piazzo intorno al cinquecentesimo posto assoluto su circa 8mila iscritti. Ma no, non cerco il risultato, lo faccio per passione, per stare bene, per staccare dallo studio. Cerco comunque di allenarmi tutti i giorni: alterno bicicletta, corsa, nuoto e palestra».
Una «malattia» ereditaria, a quanto pare…
«In famiglia abbiamo sempre viaggiato molto, in Italia e in Europa, spesso abbinando la cultura con gli eventi sportivi. Ad esempio, a Firenze siamo andati a visitare gli Uffizi e il giorno successivo a vedere la partita della Fiorentina. Papà è uno sportivo, giocava a calcio: in questo non l’ho seguito».
Anche la scelta universitaria non è stata casuale.
«Alla “Rosa Bianca” ho fatto l’indirizzo Costruzioni, ambiente e territorio: lo sbocco classico è architettura o ingegneria. Ero orientato su quest’ultima, ma nel corso del quarto anno, a causa del Covid, ho avuto molto tempo per riflettere. Così mi sono deciso per un percorso, le relazioni internazionali, che vorrei in futuro coniugare con lo sport, inteso non solo come attività fisica praticata, ma con tutte le implicazioni che lo riguardano, a partire dai valori che veicola».
Dallo scorso anno lei si è ritagliato anche un importante ruolo istituzionale, con la nomina ad Ambasciatore italiano dello sport universitario.
«Fa parte del programma della Fisu, la Federazione internazionale dello sport universitario, che ha sede a Losanna, in Svizzera. Ho partecipato ad una una lunga selezione, durata sette mesi: sulla mia nomina credo abbia pesato molto il mio percorso passato. Ne approfitto per ringraziare Federcusi e il segretario Filippo Corti».
Che tipo di impegno è, suo e dei suoi colleghi ambasciatori nel mondo?
«Cerchiamo di promuovere il movimento sportivo, e soprattutto di parlare della “dual career”, ovvero del percorso di studi abbinato alla pratica agonistica. Ci sentiamo mensilmente e ad agosto ci ritroveremo tutti in presenza a Zagabria. Poi io mi interfaccio con i vari Cus italiani e porto le loro istanze alla Fisu, cercando di creare iniziative che vadano al di là della Giornata dello sport universitario».
A livello più locale?
«Alcune piccole iniziative. Ad esempio l’accordo per un’iscrizione scontata alla Marcialonga per gli universitari, a Forlì una collaborazione con un’azienda locale di bike sharing per fornire agli studenti un certo numero di bici gratis. Poi vengo spesso chiamato nelle università e nei convegni per portare la voce dello sport universitario italiano».
Lei parlava prima di dual career, ovvero della possibilità di coniugare sport agonistico e studio. Come stiamo in Italia e in Trentino?
«Il tema esiste già alle superiori. Sono tanti gli studenti che abbandonano lo sport perché non riescono a conciliarlo con lo studio. È un peccato, perché è dimostrato che l’attività fisica aiuta a livello cerebrale. Il Trentino è molto avanti con la pratica sportiva, prima in Italia, un successo che deriva dalla vocazione del territorio ma anche dalle infrastrutture e dalla pianificazione che c’è stata nel tempo. Anche l’Università di Trento ha un programma per sostenere la dual career e anche a livello di istituti superiori è stato fatto molto, ma c’è ancora parecchio da fare, perché sono ancora troppi i giovani che quando c’è bisogno di fare il “salto”, abbandonano lo sport. Bisogna capire perché e rimuovere gli ostacoli».
Che peso hanno i docenti?
«Molto spesso vedono lo sport come un ostacolo e non come una prosecuzione del progetto educativo scolastico».
Lo sport per lei è diventato anche altro: uno sguardo giornalistico.
«Vero. Ho una collaborazione con il settimanale ”Vita Trentina” ed ho aperto un mio canale youtube dove ho fatto una serie di interviste».
Anche ad Arrigo Sacchi.
«Mi ha aperto le porte della sua casa di Fusignano. Poi Matteo Trentin, Dorothea Wierer. Il mio obiettivo non è solo proporre una biografia degli atleti, ma vedere soprattutto l’uomo che sta dietro lo sportivo, le sue insicurezze, le paure, lo sforzo per completare un percorso accademico. Aggiungo: mi piace anche raccontare gli sport non “mainstream”, quelli che non occupano le prime pagine dei giornali. Ad esempio la medaglia olimpica di canottaggio Stefano Oppo».