In tribunale
sabato 27 Luglio, 2024
di Benedetta Centin
Società trentina dell’alta Valsugana operante nel settore della lavorazione di marmo e pietra, avrebbe dovuto usare i fondi del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, per adeguarsi alle sfide della transizione digitale ed ecologica, per innovarsi ed essere più competitiva nel comparto. Peccato che gran parte di quanto percepito, e cioè quasi 100mila euro dei 150mila di fondi incassati, li avrebbe utilizzati invece per chiudere «i buchi» nel bilancio, quindi per pagare gli stipendi del personale, così come i fornitori e persino per provvedere alle imposte. E questo in netta violazione degli scopi del progetto, e cioè al rafforzamento della competitività aziendale internazionale, per un un’attività più sostenibile, più attenta al «green», ma anche più moderna. Almeno questa è l’accusa con cui il sostituto procuratore Alessandro Clemente ha voluto a processo la società e il rispettivo legale rappresentante, un settantenne trentino incensurato, senza problemi con la giustizia fino a prima che questa inchiesta lo coinvolgesse. Il reato che è stato contestato è quello di malversazione di erogazioni pubbliche.
Chiuse le indagini preliminari, il magistrato titolare dell’inchiesta ha provveduto a disporre per l’imprenditore e la sua impresa la citazione diretta. L’udienza predibattimentale davanti al tribunale monocratico è stata fissata per i prossimi mesi.
Soldi «congelati»
Quanto al sequestro preventivo delle disponibilità finanziarie depositate sui conti correnti della società e del suo titolare — un totale di 98mila euro circa — rimane tutto «congelato». Gli avvocati difensori erano ricorsi al tribunale del Riesame allo scopo di far togliere i sigilli ma anche se i giudici hanno accolto le loro istanze difensive non hanno comunque disposto il dissequestro degli importi.
L’indagine, i controlli
L’inchiesta era scattata l’anno scorso, nell’ambito delle attività di verifica e monitoraggio della spesa pubblica effettuata dalla Guardia di Finanza di Trento. In particolare in seguito ai controlli a campione effettuati dai militari sulle società che beneficiavano dei fondi del Pnrr. Accertamenti, questi, che si sono concentrati in particolare sulle attività considerate a maggior rischio.
E la lente degli investigatori si è fermata su questa impresa operante nel distretto del porfido, ma non della Val di Cembra, del Comune di Lona Lases, finito al centro del procedimento «Perfido» sulle infiltrazioni dell’ndrangheta nel settore dell’oro rosso. Una società, questa, invece dell’alta Valsugana, risultata beneficiaria di circa 150mila euro derivanti appunto da risorse connesse al Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza. Andando a spulciare i conti sarebbe emerso come in realtà gran parte dei soldi percepiti (oltre 98mila euro) sarebbero stati sviati dalle finalità previste. Almeno questa è l’accusa formalizzata a seguito degli accertamenti delle Fiamme Gialle di Trento. Quei quasi 100mila euro sarebbero stati utilizzati per pagare gli stipendi del personale, i fornitori e addirittura le tasse. Insomma, per scopi diversi da quanto invece previsto.
Di qui la richiesta da parte della Procura di sequestrare le liquidità di società e legale rappresentante per lo stesso importo. Una richiesta, questa, accolta dal giudice per le indagini preliminari di Trento che a gennaio di quest’anno ha infatti firmato il decreto con il quale i finanzieri sono stati autorizzati ad apporre i sigilli ai conti correnti. Di fatto quindi «congelati» nella prospettiva di una eventuale confisca, che i soldi quindi possano finire nelle mani dello Stato. Un sequestro che gli avvocati difensori hanno tentato di far venire meno, di annullare. Avvocati che sono pronti a dare battaglia in aula, nel corso del dibattimento, determinati a smantellare il quadro accusatorio, a dimostrare che non c’è stata alcuna malversazione di erogazioni pubbliche. Ma di questo se ne parlerà una volta che il procedimento approderà in aula.