L'intervista
giovedì 1 Agosto, 2024
di Emanuele Paccher
Oltre 700 tesserati in Provincia per una disciplina composta da una racchetta (bicolore: un lato nero e un altro rosso, con possibili variazioni) e una pallina con un diametro di 40 millimetri. Stiamo parlando del tennistavolo, disciplina olimpica dal 1988, praticato agonisticamente in Provincia da sedici società sportive. Quattro di queste – Villazzano, Lavis, Cles e Besenello – militano in campionati nazionali di B2 o di C1. Dal punto di vista gestionale e amministrativo la disciplina è organizzata dalla federazione nazionale di tennistavolo (la FITeT), suddivisa in ventuno comitati regionali (uno per Regione con l’eccezione del Trentino, dove sono presenti due comitati provinciali). Il presidente del comitato trentino è Davide Capsoni, classe 1992, di Trento, laureato in ingegneria civile e presidente del comitato dal 2020. Al momento della sua elezione, da 27enne, era il più giovane presidente tra tutti i comitati pongistici (così il nome di chi pratica la disciplina) regionali, nonché il più giovane presidente di un comitato trentino tra tutte le discipline olimpiche. Essere giovani non per forza è un merito. Se in quattro anni però si svolge un ottimo lavoro, sì. Nel caso di Capsoni i numeri parlano da soli: il movimento nel 2020 registrava 250 tesserati, oggi sono 730. Numeri importanti, che hanno reso il Trentino la realtà con maggiori tesserati in rapporto alla popolazione e che hanno permesso a Capsoni di ricevere la benemerenza dall’Euregio come «eccellenza del volontariato giovanile». Il comitato Trentino, inoltre, ha ottenuto delle sponsorizzazioni e riceve delle erogazioni liberali. È l’unico in tutta Italia tra i comitati della FITeT.
Presidente Capsoni, come vede questi dati?
«Sono segnali importanti, ottenuti con tanto lavoro da parte di tutto il comitato composto da me, Enrico Panizza, Max Moiseev, Gabriele Larentis e Paolo Peroni. In questi quattro anni di mandato ho cercato di far conoscere la disciplina puntando sull’inclusione e sul benessere psicofisico delle persone. Il grande scoglio è passare dal praticare il ping pong, cioè l’attività ludica che pratichi in spiaggia o su qualunque altro tavolo, al tennistavolo, ossia alla disciplina sportiva».
Perché una persona dovrebbe avvicinarsi al tennistavolo?
«Ritengo che si tratti di uno sport che ti libera la mente e che ti permette di conoscere meglio te stesso. Ti dà poi la possibilità di rapportarti e di giocare con persone di tutti i livelli. È molto faticoso, ma permette di stare bene. Si tratta poi di uno sport assolutamente accessibile a tutti. Ovviamente non tutti potranno diventare campioni del mondo, ma tutti possono praticarlo e divertirsi: dai bambini, agli adulti e anche gli anziani».
Di recente il comitato trentino, da lei presieduto, sta puntando molto sull’attività con le persone con disabilità. Come sta andando?
«Questa è stata una nostra scommessa. In passato non era stato fatto nulla riguardo all’attività con i disabili. Negli ultimi due anni però è stato realizzato un bel movimento, giungendo all’organizzazione di un primo campionato provinciale individuale paralimpico con una ventina di iscritti. Per le persone con disabilità ovviamente i movimenti tecnici sono molto diversi. Ma il tennistavolo fa veramente bene a tutti. In un ospedale riabilitativo del Trentino, il Villa Rosa di Pergine Valsugana, l’unità spinale ha un tavolo di tennistavolo da due anni. Un nostro membro del comitato va lì a fare attività. Da questa esperienza sta nascendo una nuova società dell’ospedale, che l’anno prossimo si affilierà alla federazione. Ciò permette di utilizzare lo sport come metodo integrativo del percorso di riabilitazione».
In quali altre attività siete coinvolti come comitato trentino?
«La federazione nazionale e quella del Trentino hanno messo in campo tanti progetti in cui il tennistavolo può essere osservato in modo diverso: si va dalle “racchette in classe” per i più piccoli, al “tennistavolo per tutti” dedicato agli over 65, al “tennistavolo oltre” per le persone con disabilità, sino a giungere al TTX, una variazione più semplice della disciplina del tennistavolo. L’obiettivo è di aumentare l’appeal della disciplina».
Come è gestita l’attività agonistica?
«Dal punto di vista agonistico ci sono sia campionati a squadre che tornei individuali. I campionati si suddividono a livello nazionale e territoriale. I tornei si sviluppano su vari territori e valli del Trentino, e sono differenziati in base all’età e/o alle capacità di gioco. Poi ci sono le varie coppe, con anche il format dedicato all’attività giovanile. È anche presente l’attività paralimpica. Se un agonista vuole può competere praticamente tutti i fine settimana, salva la pausa del periodo estivo».
Andando più sul personale, com’è che lei si è avvicinato alla disciplina?
«Giocavo a ping pong tutte le ricreazioni alle medie. Ho avuto la fortuna che all’interno della scuola che ho fatto, l’Arcivescovile a Trento, era presente uno psicologo che, vedendo la mia passione, mi ha detto che esistevano le squadre agonistiche di tennistavolo. Verso i 14 anni ho dunque cominciato la mia attività agonistica. Ora sono praticamente 20 anni che gioco, di cui gli ultimi 12 passati anche in dirigenza».
Come si è avvicinato al comitato trentino?
«Sono entrato a far parte del comitato, come consigliere, nel 2012, quando era presidente Romano Piras. Devo tutto a Francesco Montermini, è stato lui a lanciarmi. Nel 2020 mi sono candidato come presidente e sono stato eletto».
Quest’anno ci saranno le nuove elezioni. Si ricandiderà?
«Sì. In futuro mi piacerebbe anche crescere dal punto di vista della carriera, approdando nel Coni o nella federazione nazionale o anche in qualche altro ente. Questa esperienza mi sta dando tanto, anche nell’ambito del mio lavoro. Grazie al comitato ho sviluppato una serie di competenze amministrative, burocratiche e anche diplomatiche. Penso sia la funzione dello sport: non è necessario preparare i giovani soltanto per l’attività agonistica. Lo sport permette di formare i ragazzi sotto tutti i punti di vista».