L'intervista

lunedì 5 Agosto, 2024

Il congedo di Alice Parisi, la trentina lascia il campo: «Vorrei lavorare nei settori giovanili»

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Un lungo percorso da protagonista iniziato da bambina a Marazzone, è stata convocata al mondiale nel 2019

Forza di volontà, determinazione e tanta passione. Sono questi i tre elementi che hanno caratterizzato la carriera di Alice Parisi, una delle calciatrici più importanti della storia del movimento trentino che dopo 18 anni trascorsi ad alti livelli – nei quali ha conquistato 2 scudetti, 4 coppe Italia e 2 supercoppe italiane – ha recentemente deciso di appendere gli scarpini al chiodo. Un lungo percorso da protagonista iniziato da bambina a Marazzone, frazione del Bleggio Superiore, e continuato con le maglie di Trento, Bardolino Verona, Tavagnacco, Sassuolo e Fiorentina, arrivando anche in Nazionale dove – tra le tante esperienze – è stata convocata al mondiale nel 2019. Una storia che fa bene allo sport, al calcio e ai sogni dei bambini, che dimostra come nella vita sia fondamentale seguire i propri desideri anche quando sembra impossibile realizzarli. Il tutto, senza mai dimenticare le proprie origini, la propria terra, perché, come spiega Parisi, «la montagna insegna che ci vuole tanta forza di volontà per arrivare alla cima ma poi, una volta arrivati, la vista dall’alto vale tutto lo sforzo».
Ha ufficialmente lasciato il calcio giocato. Qual è il bilancio di questi 18 anni ad alti livelli?
«È un bilancio positivo, è stato un percorso che mi ha fatto crescere sotto ogni punto di vista. Sono stata fortunata ad aver avuto lo sport che mi ha reso autonoma. Solo oggi mi rendo conto di non aver vissuto una vita normale, cosa che non è mai stata un peso. Ho sempre seguito la mia passione e ad oggi sono davvero felice, proprio per questo non è stato facile chiudere la carriera».
Perché questa scelta proprio ora?
«A Firenze ho trovato il mio posto, nonostante nel mezzo ci sia stata una parentesi a Sassuolo. Scelsi di andare a Reggio Emilia perché non rientravo più nei piani del mister. Poi ho fatto ritorno in Toscana e la mia volontà è sempre stata quella di chiudere la carriera con la maglia viola».
E ora?
«Negli ultimi anni mi sono portata avanti. Ho fatto il corso da direttore sportivo, team manager e ora farò quella da allenatore. Sento che ho ancora tanto da dare a questo sport, ormai lo conosco molto bene. Percepivo che ultimamente i miei occhi non vedevano più solo il punto di vista della calciatrice, ma iniziavo a ragionare anche da esterna osservando le dinamiche dei vari staff. Conoscendo molto bene le esigenze di un gruppo forse mi vedo più come responsabile di un settore giovanile. Mi piacerebbe avere la possibilità di programmare un progetto, aiutando a raggiungere gli obiettivi. Le ragazze che ad oggi si affacciano al calcio non sono quelle di una volta, le cose sono cambiate. L’idea di interfacciarmi con le nuove generazioni mi attrae molto».
In carriera 8 trofei. A quale tra questi è maggiormente legata?
«A quelli di Firenze, città in cui ho sentito per la prima volta il calcio come una professione. Sono stata messa nelle giuste condizioni per lavorare al meglio. Anche allo scudetto con Tavagnacco sono molto legata, eravamo una squadra in crescita e molto ambiziosa».
In Toscana ha giocato sei anni, dal 2016 al 2020 e dal 2022 al 2024. Cos’ha rappresentato per lei Firenze?
«Firenze è davvero molto bella e non puoi non innamorartene. Il rapporto con la città è stato molto speciale, non riuscivo ad immaginarmi con una maglia diversa. I tifosi sono esigenti però mostrano sempre grande amore».
Tra le esperienze più significative sicuramente quelle in Nazionale e fra queste certamente, immaginiamo, il mondiale in Francia nel 2019.
«Indossare la maglia azzurra è stato un grande orgoglio. Nei miei anni ho visto l’intero movimento femminile crescere ed il mondiale ha rappresentato la ciliegina sulla torta, l’apice di un percorso iniziato da lontano».
Ha spesso parlato delle sue origini. Quanto della sua terra ha portato con sé nel corso della carriera?
«Tutto, specialmente quando ho affrontato periodi di difficoltà come durante gli infortuni. Ho avuto tanta forza proprio grazie al posto da cui provengo. Più mi dicevano che non potevo farcela, più volevo dimostrare che invece non era così. La montagna insegna questo: ci vuole tanta forza di volontà per arrivare alla cima ma poi, una volta arrivata, la vista dall’alto vale tutto lo sforzo. Nei primi anni al Trento dovevo fare molta strada per andare ad allenarmi e mister Genta veniva a prendermi a casa tre volte a settimana per portarmi al campo. Ad oggi lo ringrazio molto, così come ringrazio tutti quelli che hanno creduto in me».
L’ostacolo più grande che ha dovuto affrontare?
«Ci sono stati momenti in cui pensavo di non farcela, soprattutto quando mi sono rotta tibia e perone. È stato un percorso davvero impegnativo, sia a livello fisico che mentale. La cosa più difficile è quella di riuscire a reinventarsi; penso di aver cambiato pelle diverse volte in questi 18 anni. Oggi è complicato ricordare ciò che ero da ragazza. Non puoi permetterti di vivere di ricordi e devi sempre trovare una nuova versione. La sfida più grande, quindi, è stata proprio questa: accettare di essere diversa dopo gli infortuni subiti».
Ripensando a lei bambina, però, possiamo dire che ha realizzato tutti i sogni che aveva?
«Sì, anche se avrei tanto voluto fare un’esperienza all’estero. Allo stesso tempo il calcio mi ha dato tutto quello che sognavo, è stato un percorso bellissimo».
C’è mai stata la possibilità di andare all’estero?
«Si, ma poi ho subìto il primo grande infortunio e da quel momento è stato difficile. All’epoca si parlava di America. Non avessi subìto quell’infortunio forse le cose sarebbero andate diversamente. Comunque non è un rimpianto anche se mi sarebbe piaciuto molto. Ho fatto tutto quello che volevo e potevo fare. Chiudo questo capitolo felice e serena».
Come vede ad oggi il movimento calcistico femminile Trentino?
«Mi sono interfacciata spesso con l’attuale squadra del Trento, sentendo ogni tanto anche Maurina. Credo che il progetto sia valido e ci siano persone competenti. C’è molta voglia di avere un bacino forte in Trentino, poi quello del calcio è sicuramente un mondo complicato».
E il movimento nazionale?
«Ad oggi ci sono dati che fanno molto riflettere. Ad esempio la finale di Coppa Italia femminile tra Fiorentina e Roma ha avuto una media telespettatori più alta di quella di una partita del campionato maschile. È un momento in cui bisogna cavalcare l’onda».