L'intervista
mercoledì 7 Agosto, 2024
di Anna Maria Eccli
Il casco di riccioli neri ha lasciato posto a più tranquille nuances argentee, ma il fisico di Viliam Angeli, alias Willy, è rimasto lo stesso di cinquant’anni fa. Conosciutissimo per la sua attività politica (è consigliere comunale della Lega) e anche per i 40 anni trascorsi come ambulanziere (prima con la Cri, poi in Ospedale e infine con Trentino Emergenza), Angeli è stato protagonista della stagione d’oro sportiva roveretana. Storico capitano dell’Handball Club di Rovereto quando la squadra era semplicemente “la più forte”, ha portato a casa solo lauri e la consapevolezza che a fare la fortuna di una squadra, come di una famiglia o di una città, è il legame solido, di stima e amicizia, tra gli uomini. Ricorda sorridendo il servizio militare al Centro Sportivo romano della Cecchignola dove erano tutti bersaglieri. L’unico cappello da alpino che girava per Roma era il suo: «Avevo rifiutato il cambio di divisa: mi sentivo trentino, io». Classe 1952, arcese di nascita, “saccardo” nella sostanza, da cinque anni è tornato a vivere a Dro, a fianco della madre anziana. Lo intervistiamo dribblando sul tempo il libro che il professor Roberto Setti, grande specialista delle realtà sportive storiche della città, sta preparando («Sarà una strenna natalizia meravigliosa», dice Paolo Farinati, esponente di terza generazione dell’Handball Club Rovereto, di cui ha fatto parte come portiere). Disciplina particolarissima, la pallamano richiede velocità, elevazione, prestanza fisica; forse il gioco più antico che le assomigli è l’harpastum praticato dagli antichi romani come addestramento militare. Ma disciplina olimpica lo è diventata solo nel 1972, a Monaco. Palmares supremo quello di Angeli: 5 scudetti (di cui 4 campionati nazionali col Rovereto), 4 coppe Italia, 110 presenze in nazionale da capitano, una Coppa Latina e la qualifica in secondo posto ai Giochi del Mediterraneo. Con lui ripercorriamo la storia d’una squadra che ha sempre tenuto podio dal 1968 al 2006 («Sempre in serie A, nell’82 eravamo i più forti d’Italia»), nata all’Oratorio Rosmini, quando era centro vitale cittadino indiscusso, esplosa nell’era con Mariano Volani sponsor, declinata per un mancato rinnovamento generazionale. A testimoniare la sua grandezza molti cimeli per i quali non è stata ancora definita una sistemazione. Farinati, provetto organizzatore di memorial, ne prospetta l’esposizione in teche da collocare nel Palazzetto dello Sport.
Capitano Viliam, Wiliam, o Willy?
«Mamma mi voleva chiamare Wiliam, ma all’epoca non si contemplava la doppia W nell’alfabeto italiano. Sono stato battezzato “Viliam” e quando, a 10 anni, abbiamo lasciato Dro per Rovereto seguendo il lavoro di papà, tutti hanno iniziato a chiamarmi Willy. Così è nato il mio soprannome».
Star indiscussa dell’Handball Club Rovereto, come iniziò la passione per la pallamano?
«Per caso; io praticavo calcio, ma all’IPPIA, il professore di ginnastica Sergio Cobbe, una grandissima persona, ci fece conoscere questo nuovo sport. Era molto amico del professor Angelo Marchetti, insegnante al Liceo a cui è intitolato il nostro Palazzetto dello Sport, che della pallamano era appassionato. Allora era uno sport affermato solo all’estero. Poi, nel 1968, al GS Rosmini, è nata la squadra. C’è stato il primo campionato a Roma e ci siamo piazzati sesti; l’anno successivo, a Rovereto, eravamo al secondo posto».
Numero Uno di una squadra leggendaria; qualcuno non c’è più…
«Sì, quando ci ritroviamo li ricordiamo tutti; il primo a lasciarci è stato Luciano Cumer, una grande promessa, un bravissimo ragazzo morto in incidente con la moto a 20 anni. Il secondo è stato Sergio Normani, portiere, anche lui era giovane; se ci fosse ancora suonerebbe nella kermesse degli Anni Elettrici prossima a decollare al Rosmini, perché era un grande appassionato di musica, cantava e suonava le tastiere. Del primo gruppo ci hanno lasciato anche Renato Sottoriva, Maurizio Malesardi e Gigi Vecchio, altra colonna della prima squadra. Luigi era stato allievo diretto del professor Marchetti, che al liceo aveva anche fondato una squadra femminile, anche questa era in Serie A, ma non ha avuto la nostra storia. Ciò che ha aiutato noi a fare il salto di qualità è stato trovare in Mariano Volani lo sponsor. La pallamano roveretana deve dire grazie a lui, che ha permesso di ingaggiare stranieri, un allenatore come Pietro Vukicevic che ci ha presi a mano quando si era ancora dilettanti. Ma la vera forza stava nell’essere una squadra di veri amici, che stavano assieme anche di domenica, con le grigliate, come una famiglia».
Le doti del bravo pallamanista?
«Capacità di elevazione, velocità, destrezza e prestanza fisica: ci si davano certe spallate… Oggi i giocatori sono salvaguardati dall’arbitraggio, allora non era così. Inoltre giocavamo sull’asfalto, bisognava imparare a cadere rotolando, quando ci si buttava».
Dai più forti d’Italia, nell’82, al declino, come si passa?
«Restando senza uno sponsor importante che permetta di investire per ingaggiare buoni giocatori a livello nazionale. Dopo Volani arrivarono altri sponsor trentini e noi riuscivano a restare in serie A, ma poi iniziammo a perdere lo scudetto con Scafati… Diciamo che non siamo riusciti nel ricambio generazionale. Però siamo riusciti a coronare un sogno: giocare nel Palasport. All’inaugurazione ci trovammo davanti 2 mila spettatori, da pelle d’oca».