Terra madre
martedì 20 Agosto, 2024
di Simone Casciano
Una volta i tesori nascosti sottoterra che si andavano a cercare erano quelli presenti nei libri di avventura, sepolti nei forzieri di pariti e conquistatori, oggi invece potrebbero essere anche qui in Trentino. E se in Provincia c’è un «tesoro nascosto» toccherà all’Università di Padova scoprirlo. La Provincia di Trento ha annunciato infatti la collaborazione tra il suo Servizio Geologico e l’ateneo veneto «per la realizzazione di uno studio conoscitivo della distribuzione e consistenza delle materie prime critiche sul territorio provinciale». L’accordo di collaborazione è stato approvato dalla Giunta provinciale con un provvedimento proposto dall’assessore allo Sviluppo economico, lavoro, università e ricerca Achille Spinelli.
Un piano nazionale
Si tratta di un passaggio ufficiale della Provincia in accordo con quanto previsto dal decreto legge 84 del governo che a giugno scorso ha introdotto disposizioni urgenti sulle materie prime critiche di interesse strategico, disponendo tra l’altro l’elaborazione di un Programma nazionale di esplorazione a cura di Ispra. Il programma prevede innanzitutto la raccolta e l’armonizzazione dei dati minerari pregressi relativi a tutti i giacimenti coltivati in passato ed i risultati delle varie campagne di ricerca, nazionali e locali, con un focus sulle materie prime critiche.
Lo studio in Trentino
Proprio il censimento di Ispra sugli ex giacimenti in Italia identificava 15 miniere dismesse in Trentino. Scopo dello studio, il cui onere finanziario ammonta a 160mila euro di cui massimo 120mila per la Provincia e massimo 60mila per l’ateneo, aiuterà a capire cosa è effettivamente presente in termini di materie prime critiche sul territorio trentino, con la creazione di un database aggiornato e georeferenziato, che potrà costituire la base per possibili future puntuali ricerche minerarie dirette a indagare e valutare la reale sostenibilità economica e ambientale di una eventuale attività estrattiva. «Gli esiti dello studio – spiega l’assessore Spinelli – Saranno messi a disposizione di Ispra. Si tratta di un’attività diretta a verificare la presenza e consistenza effettiva di eventuali materie prime critiche sul territorio trentino, necessaria per andare al di là delle attuali conoscenze basate su dati storici che sono datati; è ancora tutto da approfondire in termini di reale consistenza e sostenibilità ambientale. È importante procedere con cautela in quella che, ripeto, è attualmente solo un’attività conoscitiva. Per noi l’attenzione per il territorio resta prioritaria».
I minerali presenti
Le materie prime critiche sono elementi fondamentali per le produzioni tecnologiche e industriali che le nuove direttive europee vogliono riportare ad estrarre all’interno del continente in modo da ridurre la dipendenza da Cina o Russia, da cui ci si approviggiona ormai da decenni per minori costi. In Trentino sono principalmente due le materie che si suppone siano presenti nelle miniere dismesse: barite e fluorite. La fluorite è la più importante, per il suo ruolo nei processi di produzione elettronici. Elemento fondamentale nell’industria del vetro e dell’acciaio è anche il minerale da cui viene estratto l’acido fluoridrico che viene utilizzato ampiamente in ambito elettronico. La barite rappresenta un importante minerale per l’industria cartaria, chimica e meccanica. Oggi la barite è utilizzata principalmente come agente pesante nei fluidi di perforazione per pozzi petroliferi e di gas naturale.
La mappa parziale
Dei 15 ex giacimenti ben 10 sono miniere di barite, di cui 5 attualmente in manutenzione e 5 inattive, si trovano nei monti della Valle del Chiese. Una miniera, anch’essa inattiva, si trova sopra Trento, nella zona di Montevaccino. Lo stesso vale per due miniere di Roncegno Terme. Per quanto riguarda la fluorite, anch’essa è estratta o è stata estratta nella Valle del Chiese, in 8 delle 10 miniere sopra nominate; inattive anche le già nominate miniere di Montevaccino e Roncegno Terme. Ci sono inoltre altre due miniere di sola fluorite, una a Canale di San Bovo e l’altra a Ville di Fiemme, di cui la prima è inattiva, mentre la seconda in manutenzione. Se la gran parte delle miniere risulta ormai dismessa ormai da tempo, la cosa non deve stupire: dal secondo dopoguerra, in Italia, l’industria mineraria italiana è andata in progressivo declino, dopo essere stata un fiorente traino dell’economia fra fine ‘800 e inizio ‘900. Le ragioni principali sono state certo di carattere materiale, come l’esaurimento delle risorse nei giacimenti, ma anche di tipo politico ed economico, come la «delocalizzazione» delle fonti di approvvigionamento delle imprese, che hanno visto in Paesi come Cina, India e molti Stati centrafricani dei luoghi più ricchi e convenienti in cui rifornirsi di materie prime.