Il conflitto
lunedì 26 Agosto, 2024
di Redazione
È tregua armata tra Israele ed Hezbollah. Dopo lo scambio di centinaia di missili da entrambe le parti, mentre al Cairo si cercava una difficile mediazione per arrivare al cessate il fuoco e alla liberazione dei 109 ostaggi ancora in mano ad Hamas, il premier Benjamin Netanyahu e il leader del gruppo sciita hanno continuato a minacciare ulteriori azioni militari.
L’attacco preventivo di Israele contro Hezbollah in Libano, per neutralizzare la vendetta per l’uccisione a Beirut a luglio dell’alto comandante Fouad Shukr, non è “la fine della storia”, ha rimarcato Netanyahu, avvertendo il leader del gruppo Nasrallah e la Guida suprema iraniana Ali Khamenei che “questo è un altro passo sulla strada per cambiare la situazione nel nord e riportare i nostri residenti sani e salvi nelle loro case”.
Nasrallah, per contro, in un lungo discorso trasmesso in tv ha avvertito che se il risultato degli attacchi “non sarà sufficiente, ci riserveremo il diritto di rispondere un’altra volta”. Nonché ha accusato “il nemico israeliano” di aver portato la situazione a questo livello di escalation, perché con l’omicidio di Shukr ha superato “tutte le linee rosse”. Nella versione del leader libanese l’‘Asse della resistenza’, con i proxy dell’Iran quali gli Houthi dello Yemen e i gruppi paramilitari iracheni e siriani, ha valutato se reagire tutti insieme nello stesso momento, e ha aspettato di dare una possibilità ai negoziati su Gaza. Fino alla decisione di agire individualmente “per considerazioni che emergeranno nel tempo”. “Abbiamo deciso che l’obiettivo sarebbe stato militare” e di “non prendere di mira i civili”, ha sostenuto Nasrallah, e in particolare il target era la base di intelligence militare Aman e l’Unità 8200 a Glilot vicino a Tel Aviv. Sarebbero stati utilizzati 300 missili Katyusha per “tenere occupato” il sistema Iron Dome, mentre entravano in azioni i droni. Il raid di Israele, che “è stata un’aggressione e non un’azione preventiva”, non avrebbe preso di mira la zona dell’operazione del gruppo islamista, che ha cercato di minimizzare l’intervento militare di Tel Aviv.
Hezbollah ha comunque annunciato la morte di due suoi membri “sulla strada per Gerusalemme”, espressione usata per indicare gli operativi uccisi negli attacchi israeliani. Dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza ammonterebbero ad almeno 430. È morto anche un soldato israeliano di 21 anni che era a bordo di una nave della Marina, mentre altri due sono rimasti feriti. Secondo un’indagine preliminare dell’Idf, sarebbero stati colpiti da schegge di un missile intercettore di Iron Dome, mentre almeno due droni di Hezbollah sorvolavano la zona. I morti a Gaza sono invece oltre 40.400, e tra i palestinesi della Striscia come tra i parenti degli ostaggi in mano ad Hamas si continua a sperare in un cessate il fuoco. I punti spinosi sono in particolare la presenza delle forze israeliane lungo il corridoio Filadelfia, zona cuscinetto di 14 chilometri che separa l’Egitto da Israele e dalla Striscia di Gaza, e il valico di Rafah.
“Come israeliani, esortiamo il nostro governo a dimostrare leadership, prendere decisioni coraggiose e scegliere la strada giusta e morale: firmare l’accordo e riportare a casa tutti gli ostaggi. I vivi devono essere riportati a casa per la riabilitazione e gli assassinati devono ricevere una degna sepoltura nelle loro terre d’origine”, ha detto a LaPresse il Forum delle famiglie degli ostaggi, che ha anche chiesto alla comunità internazionale, all’amministrazione Biden e ai mediatori di mantenere “la massima pressione su Hamas affinché firmi l’accordo, l’unica strada percorribile per garantire il ritorno di tutti gli ostaggi”.
Il round di negoziati al Cairo volti a giungere a un cessate il fuoco e a un accordo sugli ostaggi per porre fine almeno temporaneamente al conflitto tra Israele e Hamas a Gaza si è concluso senza un accordo finale. Lo ha affermato un funzionario statunitense. Ma i colloqui continueranno, a livelli inferiori, nei prossimi giorni. Il funzionario ha affermato che i “team di lavoro” resteranno al Cairo per incontrare i mediatori Stati Uniti, Qatar ed Egitto nella speranza di risolvere i disaccordi rimanenti e ha definito le recenti conversazioni, iniziate giovedì e proseguite fino a domenica, come “costruttive”. Tutte le parti, ha aggiunto, hanno lavorato per “raggiungere un accordo finale e attuabile”.