La storia

lunedì 26 Agosto, 2024

La sfida di Luca Caliari, il «Vigneron» figlio del Bleggio

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Da operaio a viticoltore, porta avanti un progetto di eccellenza. «La svolta? Dopo l'incontro con Josko Gravner contadino rivoluzionario»

Come si diventa un vignaiolo? È la domanda che ci pone nel momento in cui si incontra Luca Caliari, viticoltore, anzi vigneron come lo definirebbero i francesi. Ci troviamo nel territorio del Bleggio, nella frazione di Santa Croce, 600 metri di altitudine, un ambiente dai tratti ancora rurali e dal forte legame con le tradizioni più antiche. Una terra di confine, anche dal punto di vista vitivinicolo. Da queste parti, la vite non è mai stata una risorsa su cui contare per risollevare le sorti economiche delle famiglie. Quel compito era affidato alle patate, al mais e all’emigrazione. Più tardi arrivarono le mele e i piccoli frutti e oggi, grazie a qualche visionario, anche alla coltivazione della vite, favorita dai cambiamenti climatici.
Caliari, classe 1964, ha un sorriso aperto, inventiva e quella maestria di chi conosce bene l’arte dello storytelling. La sua narrazione è fatta di sguardi sul passato, pochi, e visioni sul futuro, l’argomento che più desta il suo interesse.
La famiglia, l’esperienza personale, l’orgoglio, prendono ordinatamente posto nel suo racconto plasmando l’immagine di un vigneron che si è fatto spazio in una terra dominata dalle montagne.
La sua avventura è cominciata come una sfida, senza stemmi ne blasoni da vantare, forgiata dalla passione per il lavoro in campagna, imparato dalla famiglia, e dall’amore per il vigneto. Un unico sogno: creare vini con un’impronta assolutamente personale che sapessero esprimere tutto il sapere artigianale di chi il vino lo fa soprattutto per passione. Quella di Caliari è un’azienda in progressione.
Il primo pezzo di terra arriva nel 1985 e lo dedica alle mele. Da quel momento in poi l’azienda si amplia con nuovi appezzamenti e nuovi interessi. Nel 2001 i tempi sono maturi per lasciare il lavoro da operaio e abbandonarsi completamente alla nuova attività. «In quelli anni la Cantina di Toblino cominciava a proporre vitigni in zone nuove del Trentino e noi abbiamo deciso di convertire gran parte dell’azienda agricola alla viticoltura conferendo le uve. Nel 2017, non senza difficoltà, abbiamo dato vita a Cavic, la nostra cantina chiamata con il soprannome di famiglia». «Avere una cantina personale – afferma Caliari – dove vinificare le nostre uve con metodi capaci di esaltare i caratteri del territorio, è sempre stato il mio sogno e finalmente si stava avverando», racconta Caliari, senza nascondere l’emozione del momento.
Ma la passione non era sufficiente a ottenere risultati che potessero fare la differenza. «Gli inizi sono stati difficili specialmente per uno come me – ammette Caliari, che non possedeva alcuna dimestichezza con il mondo delle fermentazioni». Rosi, Fanti e Zanoni, diventano i maestri vignaioli dai quali trae ispirazione, senza però tradire la sua personale inclinazione che lo porterà, più tardi, ad affermarsi come vigneron in una terra di grandi vini come il Trentino.
«Nel mondo dei vignaioli ho trovato persone che hanno saputo consigliarmi e con le quali ho costruito momenti di confronto franco» ammette Caliari. Ma l’avventura era solo all’inizio. L’illuminazione arriva in seguito ad un viaggio nel Collio, piccola enclave di eccellenza per i vini bianchi in Friuli Venezia Giulia, dove approfondisce l’esperienza di Josko Gravner, contadino rivoluzionario che ha fatto la storia del vino, da quelle parti e non solo.
Solaris, Souvignier Gris (ndr: classificati nella categoria dei vitigni resistenti), Müller Thurgau, Kerner, diventano i suoi fedeli compagni di viaggio, Sonata Insolito e Lingera i nomi dei suoi vini.
Le fermentazioni ardite in anfore di terracotta, i vini che nascono bianchi e sognano di diventare rossi, l’acidità che vince sul contenuto zuccherino, l’invecchiamento che armonizza tutto, disegnano il percorso e la sua capacità di fare piazza pulita delle vecchie convenzioni. «In Friuli ho scoperto i vini bianchi macerati, i cosiddetti orange wines e me ne sono innamorato. Con queste lunghe fermentazioni sulle bucce, fatte in anfore di terracotta, i vini possono arrivare alla loro espressione massima acquisendo profili aromatici del tutto particolari. Ho intuito di avere finalmente realizzato il vino dei miei sogni quando, aprendo una bottiglia di Kerner dopo qualche anno dalla produzione, ho capito di aver intrapreso la strada giusta».
Oggi la sua cantina, che lui definisce «semplice» è un luogo magico in cui ritrovarsi tra amici o persone che presto lo diventeranno grazie ad un calice di vino autentico in cui cercare le peculiarità del territorio. Un progetto di coraggio e resilienza che porta i vini di Caliari e il territorio in una dimensione diversa. Certamente non omologata a quello che si produce nel resto del Trentino. Uno sforzo che, nel vino come in altri campi, richiede una grande libertà di pensiero e che può restituire una grande solitudine o un grande successo.
Oggi tutta la famiglia è impegnata nella creazione di una gamma di vini sempre più complessi e ricchi di sfumature aromatiche. Anche i numeri sono cresciuti nel tempo passando, dalle 3.000 bottiglie del 2017, alle attuali 8.000, ma il potenziale è ancora lontano. «Oggi abbiamo quattro ettari di proprietà e due in affitto coltivati a vite, il resto sono mele, ciliegie e noci che ci permettono di differenziare la produzione», racconta Caliari con l’animo di chi l’agricoltura la vive anche con spirito imprenditoriale.
L’interazione azienda-territorio-turismo oggi è diventata il perno essenziale sul quale l’azienda imposta il presente e il futuro. «I miei due figli, Massimiliano e Christian, hanno deciso di continuare l’attività e questo mi riempie di orgoglio. Penso che ci sia spazio per raccontare questo splendido territorio dove siamo riusciti a costruire anche un’offerta gastronomica di livello grazie all’Associazione Deges (ndr Diffusione Enogastronomica Giudicarie Esteriori), la rete di aziende impegnate nella produzione e trasformazione di prodotti enogastronomici del territorio», continua Caliari.
Ma i sogni di questa famiglia non sembrano seguire solo la vita di un vino e finire nella rotazione di un bicchiere. «Mi piacerebbe ampliare l’attività ricettiva offrendo esperienze emozionali legate al vino. Nella Valle del Douro in Portogallo, ho potuto apprezzare delle tenute dove è possibile pernottare direttamente in vigneto in grandi botti di legno»,anticipa Caliari.
E se quella che raccontiamo oggi è solo l’inizio della storia di un coraggioso vigneron del Bleggio, possiamo immaginare che tra qualche anno quel sogno incastonato in una bottiglia possa includere anche altro.