Università e ricerca
giovedì 29 Agosto, 2024
di Massimo Furlani
Formare figure professionali interdisciplinari, capaci di coniugare conoscenze e di mediare fra innovazione e strumenti a disposizione, per una medicina del futuro sempre più personalizzata e precisa. Questo è l’obiettivo che si pone il nuovo corso di laurea magistrale in Bioengineering for Personalized Medicine, promosso dal Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento, che partirà fra poche settimane con l’inizio dell’anno accademico 2024-2025. Una proposta nata nel 2020 nell’ambito della collaborazione fra l’ateneo trentino e quelli di Verona e Modena – Reggio Emilia. Le lezioni si terranno in inglese e un occhio di riguardo, come specifica il docente di Bioingegneria Giandomenico Nollo, sarà rivolto anche all’unione fra teoria e pratica.
Professor Nollo, quale obiettivo si pone questo nuovo corso magistrale?
«Il tema del corso è quello della bioingegneria, che potrebbe definirsi come il punto di incontro fra le scienze ingegneristiche, quelle biomediche e la pratica chimica. L’obiettivo che ci siamo posti è quindi quello di andare a formare una figura professionale e moderna in questo settore, l’ingegnere biomedico».
Di cosa si occupa nello specifico questa figura dell’ingegnere biomedico?
«Bisogna tenere presente che i campi e gli spazi sono in costante evoluzione. L’ingegnere biomedico trova un primo campo di applicazione nell’industria laddove c’è bisogno di una figura di mediazione, che sia capace di interpretare da una parte l’innovazione, cioè quella che è la “domanda” di salute e di strumenti per risolvere i problemi collegati, e dall’altro lato quelle che sono le tecnologie disponibili o da sviluppare».
Che cosa si studia quindi nello specifico?
«Per svolgere questo ruolo, l’ingegnere biomedico ha bisogno di una cultura fortemente interdisciplinare. Serve capacità di lettura dei temi biologici, fisiologici, clinici, e una capacità di interpretazione dei risultati forniti dalle tecnologie più recenti. Fra i corsi base troviamo quindi ad esempio fisiologia, informatica ed elettronica per la salute 4.0, biofabbricazione, biomeccanica e biomateriali».
Quali sono gli elementi più innovativi di questa nuova laurea?
«Il corso è stato disegnato identificando un macrotema, un processo che la sanità ha intrapreso in modo ineluttabile: quello della medicina personalizzata, cioè “tagliata” sul singolo paziente. Un processo che ha bisogno di nuove tecnologie per essere supportato, e questo corso vuole fornire le competenze per svilupparle. Da questa idea si è pensato di dividere l’offerta in due curricula, due filoni di sviluppo delle competenze: quello sanitario-digitale e quello delle tecnologie emergenti. L’altro elemento innovativo è quello del modello didattico: noi cercheremo di fornire una didattica integrata, in cui la parte teorica sarà sempre accompagnata da quella pratica e reale attraverso incontri con esperti e attività di laboratorio».
Come è nata l’idea di questo tipo di corso?
«La laurea che stiamo lanciando è parte di quella che è stata la nostra scommessa del 2020, quando ci siamo attivati con gli atenei di Verona e Modena-Reggio Emilia per costruire una scuola di bioingegneria che offre un percorso triennale a Verona e due magistrali, uno a Modena in italiano e il “nostro” a Rovereto in inglese, dedicato alla medicina personalizzata. Per ora possiamo dire che è stata una scommessa che ha avuto successo, perché ad oggi la triennale ha circa 250 iscritti all’anno, ora che in questa estate ci sono stati i primi laureati ad aver concluso l’esperienza ci siamo attivati per offrire un percorso di laurea magistrale. Ovviamente, comunque, è una proposta accessibile anche a laureati provenienti da altri atenei, abbiamo già ricevuto alcune domande di iscrizione ad esempio da Bologna e Toscana».
Ci sono modalità e requisiti particolari per l’iscrizione al corso?
«Per il momento non abbiamo definito alcun numero chiuso, per i corsi di laurea magistrale non abbiamo ancora questo tipo di esigenza perché possiamo tranquillamente gestire i numeri che ci aspettiamo. Quello che è richiesto per l’accesso sono competenze ingegneristiche, perché l’”impianto” di partenza è quello di un ingegnere sul quale innestiamo competenze biologiche e chimiche. C’è poi ovviamente un requisito minimo di laurea triennale, a livello personale invece ciò che chiediamo agli studenti interessati è la forte voglia di conoscere un mondo nuovo e “mettersi in gioco”, perché c’è una complessità in più rispetto alle lauree ingegneristiche più classiche: il dover coniugare saperi, culture e temi molto differenti tra loro».
Quali sono i numeri che vi aspettate per questa prima annata?
«Le nostre ambizioni sono ancora contenute, perché l’approvazione per farlo partire l’abbiamo avuta un po’ tardi, a luglio, e perché i laureati del corso triennale a Verona non sono ancora molti. A regime ci aspettiamo comunque di arrivare ad avere una cinquantina di studenti».