L'intervista
giovedì 29 Agosto, 2024
di Simone Casciano
Ci sono persone la cui voce è semplicemente iconica, che riconosceremmo ovunque. A questo particolare club ristretto appartengono sicuramente Sandro Ciotti, con il suo di Tutto il calcio minuto per minuto, Bruno Pizzul, specie quando esclamava «Roberto Baggio», e anche Franco Bragagna, per tantissimi italiani «la voce» delle Olimpiadi. Cresciuto a Bolzano, il giornalista Rai ha raccontato finora 16 edizioni olimpiche, 7 invernali e 9 estive, cominciando a Barcellona nel 1992. Quella di Parigi è stata l’ultima volta in cui ha raccontato, con il suo stile inconfondibile, le prodezze degli atleti italiani e internazionali durante la manifestazione a 5 cerchi. Alla fine Bragagna ha tenuto i riflettori ancora una volta lontani da sé, limitandosi ad un «Come dicono da queste parti, c’est fini». Ci sarà però, forse, un’ultima occasione per ascoltare le sue telecronache durante Milano Cortina 2026, «sempre che la Rai me lo conceda» si scherma lui.
Bragagna che bilancio fa di questa Olimpiade? Sia per la competizione, che per l’organizzazione.
«Sulla competizione direi gare belle ovunque, stadi strapieni, all’interno di essi si respirava un clima e un atmosfera creata da chi si vede che sa organizzare feste, non necessariamente eventi sportivi, facendo sì che il pubblico restasse attivo e parteciper per tutta la durata della competizione. Il resto dell’organizzazione è stata un po’ più complessa. Siamo onesti: la cerimonia di apertura è stata un po’ un disastro. A Parigi non puoi non prevedere che piova, e si sapeva. Non si possono tenere i capi di stato completamente scoperti, noi ci abbiamo fatto caso perché Mattarella ha fatto gli anni in questi giorni e la sua foto bagnato ha fatto il giro del paese, insomma qualche copertura, anche elegante, magari andava predisposta in caso di bisogno. Noi eravamo drammaticamente sotto dei ripari improvvisati in plastica da cui colava acqua dappertutto. Poi c’è stato il caso delle acque della Senna, dove si è voluto per forza far nuotare triatleti e nuotatori di fondo. È stata un po’ una farsa, si erano impegnati tanto per bonificare e non è andata bene, anche a causa delle piogge, ma questo ha messo a rischio gli atleti. Serviva un piano di riserva, un bacino attorno cui ricreare il gioco del triathlon, in questo ho visto incompetenza. Anche per le gare in acque libere perché la forte corrente è diventato un fattore, certo lo è anche in acque libere, ma stare fino all’ultimo in dubbio se gareggiare o meno non è stato bello per l’organizzazione».
Tra le medaglie quale l’ha sorpresa di più in assoluto? E per l’Italia?
«Beh la sorpresa più grande è stata sicuramente Nadia Battocletti. Perché diciamo che un suo piazzamento era vagamente prevedibile, ma da qui a sfiorare l’oro c’è un gran bel passo che lei è riuscita a fare. Anche alcune gare di ciclismo su pista, come la Madison, sono davvero difficili da pronosticare e quindi l’oro di Guazzini e Consonni è stata una bella sorpresa. Incredibile anche il bis dorato del piccolo paese di Roncadelle in provincia di Brescia che in pochi minuti si è trovata con due atleti medaglia d’oro. De Gennaro nella canoa slalom e Alice Bellandi nel judo, a cui poi andrebbe aggiunta anche la capitana dell’Italvolley Anna Danesi. Uscendo dall’Italia, la sorpresa più grande è stata sicuramente l’oro di Hocker nella 1.500 metri maschile. Mentre la prima medaglia d’oro del Botswana con Tebogo era attesa, ma più nella 4×400 che nei 200 dove si pensava che Lyles avrebbe dominato. Si è scoperto dopo che aveva corso con il Covid, ma lui è fatto così, è un po’ il Tamberi della squadra statunitense».
Quali invece le medaglie più belle?
«Beh per l’Italia sicuramente quella dell’Italvolley femminile. Che è arrivata dopo un percorso preparatorio non facile, qualificandosi attraverso la Vnl, con Velasco che arriva a pochi mesi dalla competizione, che non era riuscito a vincere con la «Generazione di fenomeni» 30 anni fa e che in poco tempo ricostruisce il gruppo, risolve il dualismo Egonu-Antropova mettendo la prima al centro del progetto, è una storia davvero bella. Poi voglio sottolineare anche l’oro di Thomas Ceccon, perché non è mai scontato che il primatista mondiale vinca le Olimpiadi. Per esempio Martinenghi ha vinto i 100 rana con un tempo con cui normalmente non si va a medaglia. Questo per dire che Ceccon ha vinto con un risultato davvero vicino al proprio primato mondiale ed è un risultato da sottolineare. Uscendo dall’Italia è stata sicuramente memorabile la prestazione di Simone Biles che ha chiuso la sua carriera con un’autentica chicca. E citando la ginnastica artistica è storico anche l’argento dell’Italia, pur in una competizione in cui mancava la Russia. Duplantis è stato un altro dei protagonisti, è una cosa sensazionale ed è capace di alzare il livello sui palcoscenici più importanti. Cito infine Nafissatou Thiam che è riuscita nell’impresa di vincere l’oro in tre edizioni consecutive dei Giochi nell’eptathlon, un risultato davvero incredibile».
Che bilancio possiamo fare della spedizione italiane e in particolare dell’atletica?
«Il bialncio assoluto è sicuramente molto buono. Ripetere il risultato di 40 medaglie migliorandone il peso non può che essere ottimo. Poi certo ci sono piazzamenti su cui recriminare o che lasciano il rammarico, ma la verità è che, come sempre, si perdono alcune medaglie che ci si aspettava e se ne vincono di sorpredenti. Per l’atletica io ho sempre detto che questa era la squadra più forte di tutti i tempi e lo penso ancora. . Eravamo attesi a un risultato forse migliore, ma alcune controprestazioni hanno pesato. Penso a Leonardo Fabbri nel getto del peso che è stato molto sfortunato, ma anche alla 4×100 che da campione olimpica e tra i primi al mondo ha mancato il podio e forse qualche ragionamento sulla formazione andava fatto. È mancato Tamberi per tutto quello che è successo, e credo che lui debba farsi un esame di coscienza. Ha già vinto tutto, non c’era bisogno di ridursi in quello stato per ridurre la massa grassa. Siamo stati sfortunati nella marcia, con Massimo Stano che ha cercato un recupero record da un infortunio ed è arrivato a un passo dal podio e Antonella Palmisano che ha contratto il Covid proprio durante le competizioni. Aggiungiamoci anche che avendo organizzato gli Europei di atletica alla vigilia dei giochi non tutti i nostri atleti sono arrivati al top della forma a Parigi. Ecco fatte questa considrazioni resta un gruppo formidabile in cui splendono giovani incredibili come Battocletti ma anche Furlani. Tutto questo coadiuvato da un settore tecnico competente che per fortuna, grazie all’intervento di Malagò, non è stato toccato dall’avvicendarsi nei ruoli apicali dell’atletica.
Questa è stata la sua ultima olimpiade estiva, ma qual è stata la sua preferita?
«Sono sicuro sulla peggiore: Atlanta ‘96. Una disorganizzazione totale, a tratti imbarazzante. Belle sicuramente Sidney, Barcellona, Pechino e Atene. Rio normale, Londra discreta, mentre Tokyo è stata fortemente condizionata dalla pandemia. Parigi la metterei a fianco a Barcellona ma dietro a Sidney, Atene e Pechino.
E la medaglia che l’ha emozionata di più?
«Tamberi e Jacobs senza dubbio. Quelli sono stati 10 minuti incredibili, in cui tutti ci ricorderemo sempre dove eravamo, un po’ come i rigori del 2006. Dopo la batteria confesso che in Jacobs ci credevo. La mattina della gara ho incontrato Bizzotto, uno che ne capisce, e ci siamo guardati negli occhi percependo che poteva essere un momento storico. Mi ha sorpreso forse di più Tamberi perché all’inizio della gara saltava bene, ma Barshim sembra su un altro livello. Gimbo però è speciale, è un diesel. Più salti fa e più salta meglio e lì ho capito che poteva succedere qualcosa di unico».