martedì 10 Settembre, 2024
di Benedetta Centin
Docente di diritto romano con lavori ed incarichi extra non comunicati all’Ateneo, quindi non autorizzati e, a quanto pare, non autorizzabili: anni di doppio lavoro, tra consulenze legali e attività imprenditoriali, che hanno portato Nicola Demetrio Luisi ad incassare compensi per centinaia di migliaia di euro. Quelli che ora, secondo la sentenza della giustizia contabile, dovrà restituire all’Università di Trento. Per l’esattezza la consistente cifra di oltre 446mila euro. Così ha stabilito, nella sentenza depositata nei giorni scorsi, la terza sezione giurisdizionale centrale d’Appello della Corte dei Conti, che ha ricalcato buona parte del pronunciamento dei giudici di primo grado. La condanna di aprile 2021 della Corte dei Conti di Trento aveva infatti stabilito un risarcimento a favore dell’Università di Trento di una cifra complessiva più alta, oltre il mezzo milione di euro e cioè poco più di 549mila euro. E questo «per presunti danni conseguenti allo svolgimento di attività extra istituzionali» dal docente di Giurisprudenza, «in regime di impegno a tempo pieno». Contestato in particolare il «doloso occultamento del danno erariale».
L’indagine della Finanza
Il caso dei docenti con doppio lavoro, con relative indagini da parte della guardia di finanza, era scoppiato a inizio 2018. Allora nei confronti del professore era stato avviato un procedimento disciplinare da parte dell’Ateneo che aveva portato alla sua sospensione. Luisi era legato da rapporto di servizio accademico con l’Università di Trento da novembre 1994 come ricercatore, inquadrato formalmente come professore aggregato. Da novembre 2008 a dicembre 2018 aveva optato per il regime di impegno a tempo pieno. Ma si teneva occupato anche con altro stando agli accertamenti svolti dalle fiamme gialle: nel periodo compreso tra gennaio 2010 e maggio 2019, era infatti emerso – e di questi ci sarebbero elementi inequivocabili – un «costante, assiduo e ininterrotto impegno del docente verso molteplici clienti (società e privati) in attività libero-professionale di natura giuridica, come avvocato e consulente». Oltre poi alla «conduzione di una ditta individuale» e la partecipazione in altre società per lo più di compravendita beni immobiliari, anche se «per questi incarichi non risulta provata la percezione di compensi» scrivono i giudici.
Il danno erariale contestato
Gli oltre 446mila euro, stando alle indagini, il docente e avvocato li ha percepiti tra 2012 e 2018, «per aver svolto attività extra istituzionali»: per gli inquirenti «un sistematico esercizio», tra l’altro avvalendosi «di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al suo svolgimento». Peccato che lavori così fossero «incompatibili in assoluto con il regime di impegno a tempo pieno prescelto» e «in assenza di qualsivoglia preventiva autorizzazione», «in contrasto con la normativa vigente», in violazione dell’obbligo di informazione che spetta al dipendente pubblico. «Significativi compensi» che «non sarebbero stati portati a conoscenza dell’Università (anche per le valutazioni di competenza) né riversati alla stessa». Di qui il danno erariale contestato, conseguente appunto «all’omesso riversamento delle somme incamerate dal prof. Luisi per l’espletamento di attività libero-professionali non previamente segnalate all’Ateneo trentino». Ora, Luisi, attraverso i suoi legali, ha fatto sapere di aver «sì svolto attività di consulenza legale pur essendo dipendente dell’ateneo ma di non aver arrecato alcun danno, in quanto ha sempre adempiuto in modo puntuale ai propri compiti di docente». E si è giustificato sostenendo che questa sua attività rientrava nel novero delle consulenze e, come tale, sarebbe stata esercitabile liberamente. Ma allora, scrivono i giudici, secondo la norma, avrebbe invece dovuto prestare le sue attività «senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e persone preordinata».
«Provato il dolo»
Per i giudici, così come già evidenziato dalla Procura, è emersa chiaramente, nei confronti di Luisi, «la prova del dolo quale coscienza e volontà del comportamento lesivo». Insomma una «piena consapevolezza della violazione delle norme sulle incompatibilità e delle conseguenze dannose derivate dalla sistematica e reiterata violazione». Questo provato, secondo i giudici, «dal carattere continuativo dell’attività di patrocinio e consulenza e dalla rilevanza dei compensi ricevuti nell’arco di sette anni».
Prosciolto per 103mila euro
I magistrati di Appello, presidente Tammaro Maiello, hanno invece prosciolto il professore dal risarcire il danno da differenziale retributivo, tra regime a tempo pieno e regime a tempo definito: un totale di oltre 103mila euro che non dovranno quindi essere versati. Non è così, invece, per i quasi 450mila euro.