l'inchiesta

martedì 17 Settembre, 2024

Le Albere, un dormitorio a cielo aperto: «Io, senzatetto, aggredito con un coltello»

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Il viaggio nel quartiere di Renzo Piano. Sekou: «Qui la gente ha fame». Victoria, barista dell’Urban: «Di notte ho paura»

La fascia di arbusti che separa il parco dal lungadige si snoda come l’ala di un dormitorio a cielo aperto. È uno Shangai di esistenze ai margini. La fitta chioma di rami accoglie persone di origine straniera, che hanno fatto richiesta di asilo oppure che vivono e lavorano a Trento da anni. Tutte persone che sono senza una casa. Coperte e piumini si mischiano con la vegetazione. «Io ho dormito qui la scorsa notte e sono stato aggredito con un coltello», racconta Sekou, seduto con alcuni amici al parco delle Albere. «Di notte — dice Victoria, barista dell’Urban Coffee Lab — ho paura».
Le persone dormono sul prato o negli anfratti dei ponti del quartiere Le Albere, dove si sono registrati sette episodi delittuosi negli ultimi sette giorni. Difficile dire quanti sono i senzatetto. Almeno una ventina. «Alle 4 del mattino, mentre dormivo, è venuto un tipo che mi ha puntato una torcia — prosegue Sekou, originario della Guinea — Gli ho detto di andarsene. Lui è tornato poco dopo con un coltello e mi ha detto che un africano gli aveva rubato il telefono. Ma non ero stato io. Allora mi sono alzato perché avevo la testa girata, ho spaccato una bottiglia e gli sono andato contro. Lui si è spaventato ed è scappato. Questa mattina l’ho visto al Punto d’Incontro (dove offrono un pasto caldo e altri servizi ai senzatetto, ndr) e mi ha chiesto scusa. Secondo me si era inventato la storia del telefono perché voleva fregarmi. È gente che ha fame. Tra di noi non ci sono problemi. Una settimana fa hanno litigato tra arabi, poi è arrivata la polizia».
Gli «arabi», per loro, sono le persone che provengono dal Maghreb. «Non conoscono l’italiano, non hanno una casa, consumano droga e poi scappano», dice l’amico, Foday, originario del Gambia. «Io — continua — vivo a Trento da quasi 9 anni. Faccio le consegne per una ditta di elettrodomestici. Prima avevo una casa, ma poi il proprietario mi ha buttato fuori perché doveva vendere. Ho cercato un’altra casa, ma non c’è modo di trovarla: quando dico che non sono uno studente mi dicono di no; quando vedono la mia faccia nera mi dicono di no. Ora dormo qui, ma non importa: io lavoro ogni giorno, alle sette e mezza devo essere sul posto di lavoro, devo farlo. Io devo seguire la mia strada, devo fare quello che mi ha detto mia mamma, che ho lasciato in Gambia».
Sekou, Foday e altre persone senzatetto spesso trascorrono il pomeriggio nel quadrilatero di passaggio Giuseppe Šebesta, accanto al viale che porta alla Biblioteca universitaria centrale (Buc). «Non sappiamo com’è la situazione di sera, ma noi di giorno ci sentiamo sicure — affermano due passanti, Paola e Carlotta — Certo, dopo quello che è successo negli ultimi giorni, oggi non siamo passate da quella parte», aggiungono le due amiche indicando il quadrilatero. «Di giorno la situazione è tranquilla — spiegano Rudi e Victoria, che lavorano all’Urban Coffee Lab — Noi paghiamo anche la vigilanza, diurna e notturna. Ma non vorremmo che il quartiere delle Albere diventasse una seconda Piazza Dante, altrimenti questa zona è destinata a morire. Anche noi — concludono — di sera abbiamo paura». Il titolare dell’Urban Coffee Lab racconta di alcuni episodi: «Abbiamo avuto dei tentativi di scasso, fortunatamente non riusciti. Ma l’episodio più spiacevole risale a luglio quando una persona ha dato in escandescenze accusandoci dal nulla di aver sottratto un telefonino — dice — È stato molto spiacevole perché quell’uomo, evidentemente in difficoltà, si è piazzato nel locale proprio a ridosso dell’orario di chiusura. Abbiamo chiamato anche le forze dell’ordine ma c’è stato risposto che non c’erano pattuglie a disposizione. Alla fine abbiamo dovuto pagarlo per convincerlo ad andarsene».
Quando cala il buio il timore è abbastanza diffuso: «Io ho paura di tornare a casa la sera, per il resto non abbiamo avuto problemi», dice una dipendente de La Piadineria.