L'opinione

venerdì 27 Settembre, 2024

Nuovo decreto sicurezza, la bocciatura degli esperti: «Nuovi reati e pene più severe, è solo populismo penale»

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Costituzionalisti e penalisti cassano il ddl: «Solo bandierine che non risolvono i problemi»

Se lo scopo di una legge o di un decreto governativo dovrebbe essere quello di risolvere un problema il nuovo ddl sicurezza, recentemente approvato alla Camera, manca completamente il bersaglio. È questa l’opinione della costituzionalista dell’Università di Trento Lucia Busatta e dell’avvocato penalista Nicola Canestrini. Il nuovo decreto sicurezza del governo è al centro del dibattito pubblico perché sui 38 articoli di cui si compone, sono almeno 20 quelli che prevedono l’introduzione di nuovi reati o l’estensione della loro applicabilità, aumento delle pene e delle sanzioni, interpretazioni più restrittive di alcune norme penali. Attraverso di esso diventano reato manifestazioni di protesta pacifiche come il blocco stradale, ma c’è anche un inasprimento delle pene per chi occupa una casa. Entrambi temi di stretta attualità e non è un caso. «Siamo di fronte a un evidente caso di populismo penale – dice Lucia Busatta – In cui il governo dichiara di aver risolto un problema solo perché lo ha reso reato». «La verità però è che questo non risolve nulla – aggiunge Canestrini – È ormai ampiamente dimostrato che il reato non ha capacità deterrente, perché chi lo compie pensa di farla franca».
Lato costituzionale
«Quello che mi preoccupa maggiormente è la strumentalizzazione del diritto penale – spiega Busatta, ricercatrice di diritto costituzionale a Unitn – In questo caso viene utilizzato come una bandiera per dire che è stata data risposta a un problema. Non a caso vengono scelti temi di stretta attualità. Ma quando si studia diritto si impara che il penale dovrebbe essere l’extrema ratio. Invece qui sembra essere la prima, utilizzata con fini propagandistici». Non a caso molti degli articoli del ddl vanno a criminalizzare quelli che sono effetti del disagio sociale. «Il governo sceglie la strada più semplice. Fare politiche sociali, di welfare attivo costa molto di più. Non solo in termini di risorse, ma anche di concertazione e pianificazione. È molto più semplice criminalizzare comportamenti che sono espressione di quel disagio e dire di aver risolto il problema». Ma il problema non è affatto risolto. «Anzi aumentano le criticità. Perché nel momento in cui istituisco un nuovo reato poi lo devo far funzionare. E questo significa un carico di lavoro ulteriore per giudici, magistrati e forze dell’ordine. Lavoro che va a discapito magari di attività di indagine più importante».
Lato penale
«Noi penalisti dovremmo quasi essere contenti di questa deriva “panpenalizzante” – osserva ironico Canestrini – E invece ne siamo profondamente preoccupati». Secondo Canestrini il problema nasce da lontano. «Da quando con l’omicidio stradale si è pensato che una legge risolvesse il problema. Questo governo ha continuato nel solco di quelli precedenti quindi, andando però oltre e trasformando in reato condotte che prima non lo erano». È il caso delle pene comminate a chi, protestando blocca le strade o i binari. «Da Gandhi in poi abbiamo sempre pensato che la protesta pacifica sia un diritto fondamentale. A Trento come penalisti ci siamo occupati dei blocchi ai “Treni della morte”, quando il movimento non violento aveva bloccato convogli di armi dirette in Iraq. Ai tempi il tribunale aveva giudicato lecita l’attività perché era una protesta pacifica». Tutto questo oggi diventa reato. Discorso simile per le proteste in carcere. «Paradossale visto che l’Italia è stata condannata dall’Europa per la condizione delle sue carceri 10 anni fa e ora la situazione è addirittura peggiore». A preoccupare Canestrini è anche l’escalation del governo. «Si è cominciato con i rave e si è continuando su questa china». Cosa si può fare? «Il rischio è quello di finire come la rana bollita della metafora. Per evitare di bruciarci serve uno scatto della società civile, ecco il referendum sulla cittadinanza mi sembra vada in quella direzione. Poi bisogna parlarne, ampliare il dibattito, fare capire che introdurre nuovi reati non risolve problemi».