L'esperta
venerdì 27 Settembre, 2024
di Sara Alouani
«Sono un italiano vero». Lo ha ripetuto all’infinito Ghali sul palco dell’Ariston nella serata delle cover del Festival di Sanremo lo scorso febbraio. Un messaggio chiaramente politico che ha sollevato, o risollevato, il tema irrisolto della legge sulla cittadinanza italiana, una legge che data 1992 e che da allora, nonostante l’Italia oggi conti oltre 5 milioni di stranieri, è rimasta invariata. «Manca la consapevolezza storica», afferma Hajar Drissi, 26 anni, che nel 2021 ha lanciato la campagna «Dalla parte giusta della storia» che lotta per la riforma della legge sulla cittadinanza. Questo pomeriggio Drissi sarà ospite del dibattito «Nuove generazioni, nuovi sguardi?» che si terrà a partire dalle 16 nel dipartimento di Psicologia a Rovereto. Un momento di riflessione che si inserisce nella cornice più ampia del Forum «Discorso pubblico, migrazioni e persone», proposto dal gruppo di ricerca International Migration Laboratory, nell’ambito del Master in Diritto e Politiche delle Migrazioni.
Drissi, parto con una domanda secca: ius scholae, ius soli temperato o ius culturae?
«Posso dire nessuna delle tre?».
Certo. Perché?
«Parlo in nome della campagna “Dalla parte giusta della storia” e quello che abbiamo sin dall’inizio proposto è lo Ius eligendi, ossia il diritto di scegliere. Questo perché ci siamo resi conto che in Italia manca proprio la possibilità di scegliere della propria vita, della propria identità, della propria nazionalità e questo parte un po’ da un’analisi anche storica. Manca la consapevolezza storica del momento a cui risale la legge attuale, al 5 febbraio del 1992, quando c’erano poco più di 350 mila cittadini stranieri. Oggi in Italia invece si parla di circa 5 milioni si stranioeri e nel fare la nostra analisi ci siamo resi conto che chi è figlio di genitori stranieri e nasce, cresce e vive stabilmente in Italia, è sottoposto a una serie di normative e prassi amministrative escludenti, dove il diritto di scelta non è atteso. Lo Ius eligendi è la nostra stella polare, non è una proposta di legge, ma è un documento programmatico che contiene i 4 principi che, secondo noi, una giusta riforma della legge sulla cittadinanza deve contenere».
Quali sono questi principi?
«In primis il diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia; il secondo principio è quello del diritto di cittadinanza per chi cresce in Italia e per noi questo è importantissimo perché tantissime persone arrivano in Italia da bambini o bambine e, allo stato attuale, chi arriva in Italia da minore non ha nessuna possibilità di riconoscimento della cittadinanza se non tramite naturalizzazione che è un processo complessissimo, lunghissimo e costosissimo. Poi c’è il diritto di cittadinanza per chi vive stabilmente in Italia. Ad oggi vige la cosiddetta naturalizzazione che prevede 10 anni di residenza continuativa. Però è inesatto parlare di 10 anni. Sono 10 anni di residenza continuativa e ciò significa che, se c’è un buco anche di una settimana, si ricomincia da capo. È una situazione di precarietà e le persone sono costrette a vivere nello stesso posto senza possibilità di movimento. Poi, nel momento in cui si fa la domanda, comunque, le tempistiche di attesa sono di almeno tre o quattro anni. Inoltre, la questione dei 10 anni di residenza è collegata a un reddito che molto spesso nemmeno famiglie italiane hanno. Questa è una discriminazione enorme, legata proprio alla situazione economica, il che significa che può prendere la cittadinanza solo chi è ricco, mentre chi è povero rimane senza. C’è anche un’altra cosa di cui non si parla mai ed è il principio di discrezionalità della pubblica amministrazione. Perché, anche nel caso in cui una persona soddisfi tutti i criteri, c’è la possibilità che la cittadinanza venga negata».
Le faccio una domanda personale, lei come ha ottenuto la cittadinanza italiana?
«Io sono nata in Marocco, quindi ho ottenuto la cittadinanza dopo i 10 anni di residenza. Mi sento davvero una privilegiata, perché ho avuto la fortuna di potermi appoggiare al reddito dei miei genitori. All’epoca facevo ancora l’università. Ci sono giovani che, arrivati a questo bivio, devono scegliere se continuare a studiare o se lavorare per ottenere la cittadinanza. Ho amici stretti che stanno in Italia da 30 anni e che non l’hanno ancora presa».
Quali sono i disagi e i limiti per le persone senza cittadinanza? Parliamo di migliaia e migliaia di quasi italiani?
«Un milione e mezzo di giovani nati e cresciuti qui, per la precisione. Se, invece, guardiamo agli stranieri in Italia, sono più di 5 milioni. Essere stranieri significa rinnovare il permesso di soggiorno, saltare giorni di scuola per andare a fare questa cosa, significa dover dare le proprie impronte e per un bambino è di un momento di una violenza inaudita. Immaginiamo un bambino di sei anni in fila alle sei di mattina davanti alla questura…Poi ci sono problemi di carattere burocratico: a me personalmente, a un certo punto, è stata bloccata la carriera universitaria perché avevo il permesso di soggiorno scaduto e la questura era in ritardo con i tempi di rinnovo. Poi c’è un carico economico enorme, di cui non si parla, e problemi legati al contratto di lavoro, cioè, nel momento in cui si trova lavoro si è vincolati poi al datore, perché il permesso di soggiorno dipende da quello. Anche questo permette l’esistenza del caporalato e dello sfruttamento lavorativo delle persone migranti».
A livello politico, la questione della cittadinanza ormai non è più una questione di destra o sinistra…
«Direi di no. Nella scorsa legislatura ci fu una proposta di riforma della legge sulla cittadinanza portata avanti da Renata Polverini di Forza Italia. La differenza sta nella narrazione assimilazionista che viene utilizzata dalla destra quando si parla di questa tematica. Per loro, questi bambini nati o cresciuti in Italia non hanno alcun legame con il proprio paese di origine. Se poi sia un tema di destra o di sinistra, a livello teoretico dovrebbe essere una cosa di sinistra. Però anche il Partito Democratico è stato al potere per anni e non ha fatto nulla a riguardo. A noi interessa che questa legge venga cambiata: che sia dal Pd, Forza Italia o il Movimento 5 Stelle».
L’emendamento sullo Ius scholae è stato bocciato mentre il referendum abrogativo sulla cittadinanza ha superato il quorum. Faccia un appello: cosa si sente dire a chi non è ancora convinto che la riforma alla cittadinanza sia necessaria?
«Direi alle persone di aprire un libro di storia e di andare ai capitoli dedicati al colonialismo e informarsi sulle violenze che l’Italia ha commesso in altri Paesi. Mi piace scherzare con una frase: se l’Italia dovesse restituire tutto quello che ha rubato, gli Uffizi a Firenze chiuderebbero domani (ride ndr). Gli italiani dovrebbero interrogarsi sui motivi che spingono molte persone a lasciare le proprie case per cercare una vita migliore e trovare anche una responsabilità collettiva. Poi, se vogliamo entrare nel merito delle statistiche, ricordiamo che il 10% dei giovani tra gli 0 e i 18 anni è straniero ed è un numero in aumento. Questa riforma ci sarà e sarà organica. Vogliamo fare in modo che questo processo sia più pacifico ed empatico? O vogliamo farlo seminando ulteriore odio?»
L'INTERVISTA
di Gabriele Stanga
Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»