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sabato 28 Settembre, 2024

Sette anni dalla morte delle due pattinatrici a Mattarello: ora è battaglia sulle perizie. «Il tir tamponato aveva gli stop fuori uso»

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Alle battute finali il processo con imputati camionista e automobilista. Nello schianto in A22 la conducente dell’auto ha perso sorella, figlia e nipote

Il camion in transito sulla corsia sud dell’A22 che frena improvvisamente, la vettura station wagon che segue che si infila sotto il rimorchio. Venendo deformata. Stritolata. Tra un mese saranno passati sette anni dal tragico schianto avvenuto sull’autostrada del Brennero, all’altezza di Mattarello, costato la vita a due cuginette promesse del pattinaggio artistico, Gioia Virginia Casciani allora di nove anni e Ginevra Barra Bajetto, di diciassette. A distanza di un anno e mezzo era morta in ospedale anche la madre della ragazzina più grande, Graziella Lorenzatti, 51 anni, che non aveva più ripreso conoscenza dal giorno dello schianto, il 27 ottobre del 2017.
Unica sopravvissuta, che era riuscita a riprendersi dalle gravi conseguenze, Monica Lorenzatti, sorella gemella di Graziella, mamma di Gioia e zia di Ginevra. Le due donne torinesi di Villarbasse, con le rispettive figlie, stavano rientrando a casa da Merano, dove le minori avevano partecipato alla manifestazione di pattinaggio denominata «Coppa dell’amicizia». Quel terribile incidente lungo l’A22 ha sconvolto ogni piano. Di giornata. Di vita.
«Voglio emerga la verità»
La conducente dell’auto, unica sopravvissuta, che è già stata condannata a convivere con un angosciante dolore, ha sempre dichiarato un’unica versione dei fatti: e cioè che non aveva visto il camion frenare, che le luci degli stop del mezzo pesante che la precedeva non si erano accese. Una brusca e improvvisa frenata quindi, non adeguatamente segnalata dalle luci posteriori, che non ha permesso all’automobilista di arrestare in tempo la marcia per evitare il violento impatto.
Una verità che la donna, accusata di omicidio stradale plurimo, ha sempre voluto emergesse in tribunale. E proprio per questo, assistita dall’avvocato Claudio Tasin, ha scelto la via del dibattimento, dove si è arrivati, nell’ultima udienza dei giorni scorsi, a dare spazio ai periti di parte, agli elaborati che risultano divergenti su alcuni aspetti che riguardano appunto dinamica e responsabilità.
Camionista a processo
In aula, come imputato, nel processo che ormai è alle battute finali, c’è anche lo stesso camionista, il modenese Alberto Marchetti, 66 anni, residente a Medolla. A difenderlo l’avvocato Giulio Garuti. La pm Alessandra Liverani aveva chiesto per lui l’archiviazione. Ma in seguito all’opposizione delle parti civili il giudice Enrico Borrelli aveva disposto l’imputazione coatta. E dopo il rinvio a giudizio dell’uomo — nonostante difesa e Procura avessero sollecitato il non luogo a procedere — i due procedimenti, relativi ai conducenti di camion e auto appunto, erano stati riuniti. I rispettivi legali hanno chiesto la chiamata in giudizio anche dell’assicurazione, la stessa per entrambi i mezzi. La richiesta danni avanzata nei confronti dell’autista del mezzo pesante dalle parti civili (undici in tutto, familiari delle vittime) è stata di 4,2 milioni di euro totali. I parenti nel frattempo sono stati risarciti ma non la conducente dell’auto.
La consulenza di parte
Per il professionista nominato dalla difesa di Monica Lorenzatti, l’ingegner Fabio Boscolo, gli stop del mezzo pesante non avrebbero funzionato e lo spazio di frenata sarebbe stato addirittura inferiore, di appena sessanta metri. Il camion del modenese, dagli accertamenti, avrebbe decelerato bruscamente, passando in pochissimo da una velocità di 90 chilometri orari ad appena 7. E inoltre la barra paraincastro del rimorchio sotto cui si era infilata l’auto non sarebbe stata fissata come dovuto. «Era oggettivamente impossibile evitare l’impatto con il semirimorchio, pur mantenendo una regolare distanza di sicurezza — riporta l’ingegner Boscolo — Senza l’accensione delle luci degli stop occorsero alla Lorenzatti non meno di due secondi per percepire che il camion decelerava e almeno un altro secondo per capire che non si trattava di un normale rallentamento ma di una vera e propria frenata di arresto in emergenza». Un elaborato, questo, che contrasta su alcuni aspetti con quello del perito nominato dal gip in sede di incidente probatorio, secondo il quale la donna guidò con «imprudenza e negligenza». L’ultima parola spetta comunque al tribunale. Ora che il dibattimento si è chiuso, nelle prossime udienze ci sarà spazio per la discussione e quindi per la sentenza.