Il personaggio

martedì 1 Ottobre, 2024

Massimo Cirri (Caterpillar): «Tanto disagio tra i giovani? Grazie a Basaglia possiamo parlarne»

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Il conduttore porta a teatro lo psichiatra: «Quando entrò nell’istituzione sentì un odore di morte. Da lì partì»

C’è molto Franco Basaglia, nel fitto programma della Settimana dell’accoglienza del Cnca (Coordinamento nazionale comunità accoglienti). E non poteva essere altrimenti, nel centenario della nascita dello psichiatra veneziano. In particolare uno spettacolo teatrale proprio su Basaglia, «(tra parentesi) La vera storia di un’impensabile liberazione», in scena stasera 1 ottobre alle 21 a Vezzano e giovedì 3 alla stessa ora a Brentonico (ma anche domani alle 20.30 al teatro Cristallo di Bolzano), e un convegno ancora giovedì 3 alle 16 a Trento all’Officina dell’autonomia di via Zanella su «Quale assistenza psichiatrica oggi a 100 anni dalla nascita di Basaglia». In scena a teatro saranno Peppe Dell’Acqua, che con Basaglia collaborò a Trieste, e Massimo Cirri, noto conduttore di «Caterpillar» su Radio 2, che per 25 anni ha lavorato nei servizi di salute mentale.
Il dialogo si svolge su una panchina, come quelle di una volta nei manicomi, per la regia di Erica Rossi, con il racconto condotto da Dell’Acqua e i due circondati da materiali basagliani, tra cui rari video. «Tutto inizia nel 1961 a Gorizia – spiega Cirri – dove Basaglia entra da direttore per la prima volta in un manicomio. Non ne ha mai visto uno, perché è uno sconfitto della vita: voleva fare il professore ma l’università lo espelle perché è un uomo non allineato, che legge troppi libri di filosofia. E quindi gli tocca fare la carriera di serie B di direttore di manicomio».
Con quali risultati?
«Vede le cose che vedono tutti, ma in più lui prova vergogna. E dice che in manicomio sente un odore che ha già sentito, quando da giovane è stato sei mesi in galera perché antifascista: un odore di morte. Allora comincia a pensare a una cosa che prima mai nessuno aveva pensato: che possa esistere un mondo senza manicomi. E quindi inizia a ragionare su come si smantella e come si cambia un manicomio».
Questo però è solo il primo tempo.
«Sì, che dura dal 1961 al 1968. Poi ricomincia nel 1971 quando un politico democristiano, Michele Zanetti, il presidente della Provincia, lo chiama per il manicomio di Trieste, nonostante lui, Basaglia, sia diventato nel frattempo un’icona della contestazione, del ’68 e del cambiamento. A Trieste si gioca il secondo tempo di questa partita. Vi arriva Peppe Dell’Acqua, giovane appena laureato, perché Basaglia vuole con sé solo persone “incontaminate”: dice che non ce la farà mai a cambiare le teste dei vecchi psichiatri. E chiacchierando su una panchina, come quelle che c’erano nei manicomi, raccontiamo questo cambiamento».
Ogni anno che passa, questo cambiamento appare sempre più lontano. Sembra davvero roba di un altro secolo.
«Assolutamente sì. È una vicenda che non ha cambiato solo i manicomi, ma che ha investito molti pezzi d’Italia: il Trentino è uno dei territori in cui questo cambiamento è stato fatto meglio, in maniera più profonda e radicale. I servizi di salute mentale della Provincia Autonoma sono tra i migliori d’Italia e tra quelli che hanno costruito più di altri dei posti che non siano il manicomio, inventando il protagonismo degli utenti e delle persone. Penso al gruppo di mutuo aiuto di Renzo De Stefani. Le persone che hanno attraversato un’esperienza di sofferenza mentale, quando stanno meglio possono dire la loro e stare in un servizio di salute mentale ad accogliere un cittadino che ha un problema. E se è la prima volta che quel cittadino ci va, impaurito, trova non solo un valido psichiatra e uno psicologo che sa il suo mestiere, ma insieme a questo anche un signore che gli dice: io sono Mario Rossi e ci sono passato anch’io. E allora succede qualcosa di importante».
Un amministratore illuminato, quel Zanetti. Oggi forse sarebbe difficile trovare una classe politica di idee opposte ma così aperta.
«Sì, questa è una storia piena di contraddizioni. Quando Basaglia se ne va da Gorizia, perché la politica ha paura di tutti questi cambiamenti, viene chiamato a Parma, al manicomio di Colorno. E Parma è una roccaforte comunista. Ma a Parma il Pci non riesce ad accettare Basaglia, forse perché per l’ideologia di allora l’importante era la classe operaia: le classi marginali, le donne, i matti, sarebbero stati liberati dopo la rivoluzione. O forse gli psichiatri comunisti di Parma e dell’Emilia non tolleravano un uomo così innovatore come Basaglia».
E a Trieste che cosa succede?
«Peppe Dell’Acqua racconta tutte le difficoltà di questo cambiamento: ad esempio i sindacati, che difendono gli interessi degli infermieri e che sono preoccupati. Ma ci sono decine di amministratori pubblici in giro per l’Italia che dicono invece: un pezzo di questo cambiamento lo voglio fare anch’io».
Che cosa resta oggi della lezione di Basaglia? Molti operatori denunciano un cambiamento di rotta in senso opposto.
«Il tema è complicato. Però c’è sempre di più una difficoltà delle psichiatrie a tenere il passo di questo grande cambiamento, sono diventate un elemento di conservazione. D’altra parte però prima, banalmente, in Italia c’erano 97 manicomi e nient’altro. Adesso in ogni valle del Trentino e della Lucania c’è un servizio di salute mentale, anche se è vero che a volte rischia di essere aperto solo per 4 ore al giorno, magari in Lucania. Ma soprattutto è cambiata la società civile. Sia in Lucania sia in Trentino è pieno di cooperative sociali che fanno quello che devono fare e al loro interno comprendono persone che hanno problemi di salute mentale. E poi ci sono associazioni di utenti, di familiari, ristoranti gestiti da cooperative di matti nei quali si mangia benissimo…».
La società civile registra però anche un aumento del disagio mentale.
«È cambiata molto la percezione che abbiamo di noi. Anche i ragazzi più giovani oggi dicono più facilmente di soffrire di ansia e sofferenza. Questo poter uscire dalla sofferenza aggiuntiva della vergogna è stato reso possibile proprio perché nel 1961 Basaglia ha cominciato questa storia. Basaglia non ha mai detto che la sofferenza mentale non esiste, ha detto invece che bisogna essere curati e che si può restare cittadini. E quindi che si può dire “sono matto” con molta meno vergogna».