Tradizioni

mercoledì 16 Ottobre, 2024

Sagra dei tordi, polenta e formaggio fuso cucinati tra le tombe

di

Roncegno, la ricorrenza di Santa Brigida che porta la comunità a consumare il pasto al cimitero

Con le prime nebbie d’autunno la gente dei masi della montagna di Roncegno, della parte almeno che fa riferimento alla parrocchia di S. Brigida, festeggia la «sagra dei tordi». «È una tradizione antica, si è sempre fatta», rivela Diego Zottele, insegnante alla scuola alberghiera, cuoco e titolare di un agritur, intento a cucinare polenta e formaggio fuso. La cucina mobile è allestita sul cimitero, accanto alle tombe e al sagrato della chiesa dove dice messa Paolo Ferrari (1953) parroco di Roncegno e di altre quattro parrocchie. Polenta e formaggio fuso perché da qualche decennio l’uccellagione è proibita (legge n. 157 del 1992). Tuttavia, fanno sapere altre fonti, nel giorno della patrona la gente dei masi ha consumato comunque polenta e uccelli. La tradizione è nel Dna di questa comunità coesa, nonostante la dispersione tra i 29 masi del monte di Santa Brigida, i 19 del monte di Mezzo e le 3 località della montagna alta. In totale, come documenta Arianna Caumo del servizio anagrafe del comune di Roncegno, sono 501 persone su una popolazione complessiva del comune di 2.930 abitanti. A questi vanno aggiunti i 1.785 iscritti all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Si tratta per la maggior parte di discendenti di coloro che lasciarono il Trentino nella seconda metà dell’Ottocento e che cercarono risposte alla fame nelle contrade del Sudamerica (Brasile, Argentina, Messico, Uruguay) o in Europa (Svizzera, Belgio e Germania).
Il 24 agosto 1912 il curato Antonio Bampi (1868-1935) scriveva: «Il numero delle anime è di circa 730. Di queste sono assenti circa 200 per guadagnarsi il pane o migliorare la propria condizione. Circa 100 emigrano temporariamente e gli altri per non più ritornare».
L’emigrazione tardo ottocentesca disperse numerose famiglie in Bosnia Erzegovina e in altre contrade. Nell’edificio della ex scuola della «Montagna di mezzo» oggi ha sede il circolo degli ex emigrati a Stivor. Il sindaco di Roncegno, Mirko Montibeller, 44 anni, che ci ha accompagnati tra i masi della montagna dice che «le persone che vivono sul monte non te le mandano a dire. Sono schietti e leali. Sono soprattutto persone di parola».
La seconda domenica di ottobre (quella prossima al giorno 8, quando cade il patrocinio della titolare) il popolo dei masi si raduna per la messa della patrona. Ma pure (e forse soprattutto) per la merenda che si consuma sul sagrato, fra le tombe che, caso piuttosto raro in Trentino, contornano la chiesa. Qui, come in Alto Adige, l’editto di Saint-Cloud, emanato il 12 giugno 1804 da Napoleone, e che vietava le tumulazioni dentro e attorno alle chiese, non è mai stato applicato. Forse perché i campi terrazzati della montagna servivano a ristorare la vita prima che a ospitare la morte. Difatti, nelle risposte al questionario predisposto nel 1912, per la visita pastorale del principe vescovo Endrici (1904-1940), il cappellano Antonio Bampi (che poi fu parroco dal 1919 al 1930) scrisse senza tanti giri di parole: «Riguardo al digiuno, essendo tutti i contadini e dovendo molto lavorare, credo digiunino abbastanza da mangiare quello che mangiano».
Difatti, la carne, si consumava solo in tempo di festa e la sagra della comunità (da «sacra», memoria della consacrazione della chiesa) era una di queste, poche, occasioni. Racconta Diego Zottele del maso Rìncheri: «Me contava me papà che ai Scali (oggi 21 residenti) ghèra l’osteria. Durante la guerra era visitata spesso dai tedeschi perché la titolare del locale, Olga Hofer, la parlava ben el tedesco. E i vegniva qua per magnar polenta e osèi». La chiesa di s. Brigida poggia sul terrazzo tenuto su da un robusto muraglione a secco. È antica ben oltre il 1550 se è vero che nel 1460 un tale Rincher, del maso omonimo, faceva il «monech», il sagrestano. Nello spirituale, questo territorio dipendeva dal vescovo-conte di Feltre che aveva pure giurisdizione civile sino a maso San Desiderio, a Novaledo, confine «di Stato» tra Feltre e Trento, tra Venezia e l’Impero.
La tenuta delle matricole (i dati dei nati, dei morti e dei matrimoni) fu avviata nel 1787, vale a dire dopo che tutta la Valsugana e il Primiero erano stati «scippati» dall’imperatore Giuseppe II (1741-1790) al vescovo-conte di Feltre poiché il sovrano di Vienna voleva far coincidere i confini delle «proprie» diocesi con i territori dell’impero.
Primo cappellano della cura d’anime di S. Brigida, designato dall’Ordinario tridentino, fu Francesco Alpruni da Borgo Valsugana il quale morì a 47 anni nel 1803. L’ultimo, il diciottesimo, fu il francescano Albano Torghele, da Scurelle (1926-2017) che fu parroco qui per vent’anni. Tra le sue ultime volontà domandò che al posto dei rintocchi funebri, il giorno della sua morte, a S. Brigida fosse suonato il «campanò» della festa. La scorsa settimana, sul pentagramma della sagra i tre bronzi del campanile di S. Brigida hanno squillato dal venerdì alla domenica. A dire che la «sagra dei tordi» è festa grande. Alle Tezze, ultime propaggini della Valsugana trentina, si è fatta sagra lo stesso giorno poiché pure lì si festeggia S. Brigida. Una ricorrenza «vegetariana» con la «festa del senèlo» (del sedano ai ferri) accompagnato da tosella fresca e «pendolón», una sorta di polenta di patate con soffritto di cipolle e pancetta. «L’Abbiamo avviata una trentina di anni fa – racconta Silvano Voltolini, presidente della Pro Loco di Tezze Valsugana – per valorizzare il sedano che i nostri contadini raccolgono in questo periodo negli orti».
«Ma la nossa sagra la è mejo”, ribadisce Mario Baldessari, 81 anni, da Roncegno. Una grande barba bianca, da profeta dell’Antico Testamento, a far risaltare l’espressione «nossa», anche se lui non abita ai masi di Santa Brigida. «Quei de Santa Brigida l’è sempre sta ‘na comunità bella e compatta tra de lori e te i tiri fora: uno per tutti, tutti per uno. I è tosti».
Nel pomeriggio della domenica, tra polenta, formaggio fuso e «stroboi», dall’edificio che un tempo fu la canonica e che dal 2012 è la sede del «museo degli strumenti musicali popolari» il suono di un mandolino si mischiava con i rintocchi del campanò. Tra le tombe, i bambini dei masi giocavano a nascondino.