Economia e lavoro

sabato 19 Ottobre, 2024

Welfare, Spinelli disegna la rivoluzione dell’assegno unico: «I sussidi devono portare al lavoro stabile»

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L'analisi dell'assessore sulla povertà: «Spesso gli aiuti hanno un effetto disincentivante»

Chi riceve l’assegno unico provinciale – quasi 9mila famiglie beneficiano del sostegno al reddito – sarà obbligato a cercare un lavoro migliore. Sì perché oggi il 90% delle persone che percepisce la «quota A» risulta occupato, ma spesso ha contratti di lavoro precari e discontinui. «Vogliamo introdurre un meccanismo incentivante», dice l’assessore provinciale allo sviluppo economico Achille Spinelli commentando i dati Istat sulla povertà relativa in Trentino (il T di ieri): 50mila persone sono sotto la soglia di povertà (9,2%), 14mila le famiglie (il 6%), duemila in più rispetto al 2022.
Perché volete cambiare l’assegno unico?
«C’è una fascia di popolazione che riceve il sostegno economico, in particolare la Quota A, e che è disincentivata a lavorare oppure a cercare un lavoro migliore. Una fascia di popolazione sostenuta dai sussidi, e che riesce a mantenere l’assegno perché ha un lavoro non abbastanza retribuito o con una durata ridotta. Oggi questo modello non va più bene. Bisogna (ri)costruire l’assegno unico attorno alle politiche attive: chi riceve il sostegno deve essere accompagnato nella ricerca di un lavoro migliore. Le mie strutture stanno lavorando per introdurre nuovi criteri che vadano in questa direzione».
Un anno fa aveva annunciato anche la trasformazione delle quote dell’assegno unico destinate a soddisfare i bisogni familiari: non più aiuti monetari, ma voucher per l’acquisto di servizi. A che punto si trova la riforma?
«Nel 2025 avvieremo le prime sperimentazioni, in particolare nei territori con un bacino di utenza consistente. L’obiettivo è quello di andare a regime nel 2026. Vogliamo passare dall’erogazione monetaria all’erogazione di servizi. In poche parole vogliamo costruire un sistema di servizi tagliati su misura del territorio trentino. Un sistema che prevede un grande intervento finanziario da parte della Provincia, ma anche una compartecipazione da parte dei soggetti che erogano questi servizi e, in piccola parte, anche da parte del soggetto ricevente. Un ventaglio di servizi per la conciliazione lavoro-famiglia, che persegue gli obiettivi della natalità, dell’occupazione femminile e della liberazione della donna da alcuni lavori che incombono culturalmente su di lei. Tutto questo avrà una ricaduta in termini di Pil, di futuro previdenziale e soddisfazione personale. Sia chiaro: l’obiettivo non è quello di risparmiare, ma di rendere i servizi sempre più efficaci».
Nell’ambito della riforma dell’assegno unico sarà ritoccato anche l’Icef, l’indicatore trentino per la valutazione economica delle famiglie?
«In questa prima fase stiamo cercando di semplificare l’Icef. Questo strumento nacque per ricostruire la reale ricchezza sul nostro territorio, penso in particolare alla situazione degli agricoltori. C’è da dire che in Trentino siamo innamorati di questa formula perché abbiamo un indicatore tutto nostro, ma ci conviene correre dietro a complicanze nostrane? Io sono convinto che sia più importante avere servizi superiori rispetto al resto d’Italia. Forse potremmo fare anche a meno dell’Icef e adottare lo strumento nazionale dell’Isee».
La sociologa Chiara Saraceno ha lanciato l’allarme sul «lavoro povero» al Nord, dove sta aumentando l’incidenza e l’intensità della povertà.
«È vero, esistono tanti contratti poveri ed esistono anche tante finte partite Iva, che in realtà svolgono un lavoro da dipendente. Questa è una forma di povertà che esiste da tanto tempo e che colpisce soprattutto le fasce più giovani. Come dicevo, esiste anche una forma di lavoro malpagata, con contratti poco chiari e con poche tutele».
Sono passati diversi mesi dall’istituzione del tavolo sui salari con sindacati e imprenditori. Quali saranno le misure?
«Stiamo procedendo. A breve ci saranno delle novità. Uno degli obiettivi è quello di vincolare i contributi pubblici a un maggiore impegno da parte dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori, in termini di welfare o di retribuzioni. Non nego che stiamo facendo fatica. Penso che l’economia abbia bisogno di dinamiche più unitarie».
A proposito di unità, l’esclusione di Confindustria e Confesercenti dalla giunta della Camera di commercio ha provocato l’uscita delle due associazioni dal Coordinamento provinciale degli imprenditori. E tra Cgil, Cisl e Uil si è rotta l’unità sindacale. È preoccupato?
«Questa frammentazione mi fa paura, perché è una dinamica che punta a dividere le categorie e questo non è un bene per nessuno. In Trentino l’unione ha fatto davvero la forza. L’unità sindacale, ad esempio, è stata la forza per imporre certe scelte importanti. La disgregazione è una delle strade migliori per sprecare tempo e risorse, e ottenere risultati vaghi».
C’è chi potrebbe dire che la Provincia abbia perso la capacità di fare sistema…
«La vicenda della Camera di commercio ha dinamiche proprie in cui la politica non ha un ruolo. Per noi il tema è il Coordinamento imprenditori, perché per noi il luogo di confronto non è la Camera di commercio, ma il coordinamento. Per questo il futuro ci preoccupa. Un coordinamento senza Confindustria e Confesercenti è un coordinamento monco, parziale».