La storia

sabato 19 Ottobre, 2024

Letture, Albino Ferrari racconta la storia dell’Avez del Prinzep: «Il grande albero che diventò violino»

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Era l’abete bianco più alto di tutta Europa. Oggi vive sotto forma di tre strumenti ad arco

Una storia vera, raccontata come una fiaba. Una fiaba i cui protagonisti hanno nome e cognome, in un libro che ci riguarda molto da vicino, destinato ad un posto stabile nelle biblioteche di chi ha a cuore la salute del nostro ambiente, mai così in pericolo. Un libro che ha un grande protagonista, e mai il termine «grande» è stato così appropriato. Perché Il canto del Principe di Marco Albino Ferrari, da ieri in libreria (Ponte alle Grazie editore, 198 pagine, 13 euro) racconta la «vita morte vita» dell’Avez del Prinzep, il famoso abete bianco Abies alba, chiamato Principe.
Quando schiantò, alle prime ore del 13 novembre 2017, poteva avere, fatte le opportune stime, almeno 250, forse 280 anni di vita sotto forma di cerchi che sembravano fatti con il compasso. La sua storia è un tutt’uno con la storia dell’altopiano di Lavarone, Trentino. È un tutt’uno con la storia dei «thodeschi» o «teutonici», o «tzimber», o ancora «zimberer» (carpentieri), da cui per assonanza i Cimbri, popolazione di origine germanica arrivata sull’Altopiano nel Tardo Medioevo. Misurava 54 metri di altezza e per abbracciare il suo tronco ci volevano quattro o cinque persone. A raccontare la sua storia, con parole che ti si appiccicano dentro, là dove ancora vive lo stupore per l’incanto che, sempre, un bosco arreca, è uno scrittore, giornalista, divulgatore, una delle voci più autorevoli della cultura di montagna. Ha ideato e diretto la rivista Meridiani Montagne e pubblicato numerosi libri, tra i quali Mia sconosciuta, Premio Itas e In viaggio sulle Alpi e Assalto alle Alpi, libri-monito contro l’assalto alle montagne, mortifero quando fatto solo in nome del profitto, del turismo mordi e fuggi, del mancato rapporto simbiotico, e non parassitario, con la natura. Particolare non trascurabile, e parte del racconto de Il canto del Principe: lo scrittore da qualche anno vive dalle parti dell’Altopiano, vi si è trasferito lasciando la città. E nel percorrere i luoghi che per più di duecento anni sono stati la casa del Principe Abete Bianco, ci ricorda che il bosco è dentro ogni cosa che ci circonda: è nel tavolo su cui ceniamo, nel pavimento su cui camminiamo, nei funghi e nei frutti spontanei, nella fauna selvatica, nella protezione dall’erosione, nel paesaggio che sogniamo, nel calore della stufa, nella nuova edilizia a basso impatto ambientale. Perché il bosco pervade ogni cosa, è l’acqua che scende dal rubinetto in città, è l’aria che respiriamo.
Nelle parole dello scrittore ci sono rispetto e gratitudine per il Principe, in pagine che accompagnano il lettore in un delicato equilibrio tra canto elegiaco, dovere della memoria, sacrosanta invettiva ambientale che si realizza indicando nella cura attiva dell’ambiente la via necessaria a preservare il pianeta e noi stessi.
Il suo incontro con l’Avez del Prinzep è così scandito: «Lo avvistavi a chilometri, perché quell’inconfondibile chioma policormica – ovvero composta da sette punte distinte – svettava sul mare verde che la circondava. Come fosse stato un albero conficcato sopra la distesa degli altri alberi. Lungo la stradina forestale che portava ai suoi piedi sentivi una curiosità crescente e ti veniva spontaneo accelerare il passo. Poi, una volta sotto, eccolo, di colpo. Ti metteva le vertigini. Come un precipizio al contrario. L’albero più alto d’Europa. Il Monte Bianco degli alberi».
Quale la forza del libro? La stessa della storia di «vita morte vita» del Principe Abete Bianco. Che iniziò a morire, scopriamo, nel 1965, quando un gruppo di ragazzi accese un fuoco attorno all’enorme tronco. Le fiamme attaccarono la corteccia, furono spente ma la ferita era aperta. Lo schianto portato da un vento feroce arriva cinquantadue anni dopo. Ma, appunto, quella del Principe è vicenda di vita, di morte, di nuova vita. La comunità dell’Altopiano – perché questa è soprattutto una storia di popolo, di incontri, assemblee, discussioni per decidere cosa fare del corpo del Principe, una volta caduto – ha deciso che da quel nobile legno dovesse prendere forma, grazie alle mani di un maestro liutaio, due violini, una viola e un violoncello. La fiaba, che è scandita da quattro capitoli – Vento, Silenzio, Attesa, Canto – diventa storia e cronaca nel Post Scriptum finale. Dove il Custode Forestale, il Sindaco, Il Musicista, Il Maestro Liutaio, la Violinista, i Musicisti trovano nome e cognome. Damiano Zanocco, Isacco Corradi, Giovanni Costantini, Gianmaria Stelzer, Elisa Cecchini, Marianna Vidale, Leila Cattani, Carolina Talamo, Tiziano Gonella e Stefano Rossi. I Cimbri, altro che popolo fantasma, hanno riportato in vita il Principe. Ora respira negli strumenti, in violini bianchi di magnetica suggestione. Muove la chioma nello spettacolo «Anima. Dentro il suono delle Alpi» con musiche originali di Giovanni Bonato e la messa in scena del regista Andrea Brunello della Compagnia Arditodesìo.
Lo spettacolo si basa sulla versione drammaturgica della storia del Principe e viene replicato nei teatri, nei boschi e nelle praterie d’alta quota, facendo risuonare i famosi legni. Dimenticavamo: la fascetta che circonda il libro è firmata da Corrado Augias.
Vi si legge: «La magia di un albero che muore e risorge, del fruscio delle foglie al suono di un violino. Un incanto».
Il Principe è vivo e suona insieme a noi.