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domenica 20 Ottobre, 2024
di Donatello Baldo e foto di Pierluigi Cattani
«I want to go to school». Voglio andare a scuola. «I’m bored to stay all day at home». Mi annoio a stare tutto il giorno a casa. Ma la bambina che parla, bellissima con i capelli nerissimi e lo sguardo che nonostante tutto sorride, non ce l’ha una casa vera e propria: è ospite con la madre e la sorellina in una struttura temporanea da cui dovranno andarsene perché a breve diventerà un dormitorio per i senzatetto. La bambina è tra la mamma e il papà, ed è lui che racconta che «non è sempre a casa, spesso siamo al parco». Quello della stazione: «Loro, mia moglie e le bambine sono a Casa Paola per ora, io no. Io dormo fuori», nello stesso parco dove nei pomeriggi gioca con le figlie. «La sera verso le sei aspettiamo l’autobus assieme. Loro salgono, ma piangono. Vorrebbero che andassi anch’io con loro». Lui resta lì, si apparecchia una panchina per la notte e aspetta il giorno dopo.
Questa è una delle famiglie che ieri ha partecipato al presidio in piazza Dante, sotto ai palazzi del potere per denunciare con lo Sportello casa per tutti e con l’Assemblea antirazzista l’esclusione dall’accoglienza di chi ne avrebbe diritto: richiedenti asilo, in attesa di sapere se il loro futuro sarà qui o altrove. Potrebbero essere ospitati nelle strutture preposte, ma la Provincia non vuole. «Non vuole che si aumenti il numero delle persone accolte», spiegano gli attivisti. E così queste famiglie sono senza nulla, con un tetto garantito, più o meno, e comunque sempre in via temporanea. Per tutto il resto, dal sostegno emotivo a quello economico, se ne occupano solo i volontari che li accompagnano a scuola per l’inserimento perché nessuno sembra nemmeno preoccuparsi che per i più piccoli c’è l’obbligo scolastico, che li aiutano con le medicine anche se nessuno dispensa i soldi per acquistarle, e così per le vaccinazioni che nessuno avrebbe pensato che servissero anche a loro.
C’è anche un padre single tra queste famiglie. Si chiama Simon. Nato in Nigeria, da nove anni era in Germania, da sei dipendente dello stesso albergo. I due figli andavano a scuola lì, ma da un giorno all’altro né scuola né permesso di soggiorno in terra tedesca. Tecnicamente sono dei «dublinati», che in virtù del Trattato di Dublino devono decidere se tornare in Nigeria o nel Paese dove in prima battuta hanno fatto domanda di asilo. L’Italia. «Non è facile vivere in Germania, ma è molto più difficile vivere in Nigeria», dice. Scelta obbligata, dunque. E per i mille incroci del destino, Simon e i suoi figli sono a Trento, anche loro nella precarietà abitativa e esistenziale. I due bimbi hanno le giacche uguali, le scarpe uguali, i capelli corti e riccissimi. Giocano con il papà, e almeno loro vanno a scuola. Vorrebbero giocare a calcio, vorrebbero fare mille cose, chissà se potranno. Si chiamano David e Daniel. «Io voglio solo che i miei figli possano vivere bene, crescere bene. E io voglio lavorare, per prendermi cura di loro».
C’è anche una ragazza, senza nome, senza foto. È stata vittima di violenza, teme che l’ex compagno possa rintracciarla. Ha 28 anni, parla bene l’italiano perché tutto è iniziato qui. Lei marocchina incontra un ragazzo tunisino a Trento qualche anno fa. E poco dopo iniziano le violenze, le minacce. «Lui beveva, vendeva droga e fu arrestato. Uscito dal carcere decise di andare in un altro Stato e mi disse che dovevo andare con lui altrimenti mi avrebbe ammazzata». Partirono, «ma lì fu peggio di qua». Altra violenza, anche se nel frattempo era nato il primo figlio. «Una bambina, che lui mi ha rubato, che si è portato in Tunisia». E dalla Tunisia le scriveva: «So dove sei, vengo ad ammazzarti». Così scappa, torna in Italia, dove nasce il secondo figlio, un bimbo che ora ha 5 anni. «Ho denunciato tutto alla polizia, ma ho ancora paura perché a Trento il mio ex ha ancora tanti amici». Si è rivolta anche ai servizi sociali: «Mi hanno detto che potevano darmi ospitalità per una notte. A Casa Paola». Ed è lì da allora, da quando è scappata dalla violenza e dalla paura. «Ma ora dovremo andare via, non so dove». Il suo sogno? «Ritrovare mia figlia. Lavorare, avere una casa, una vita normale».
La manifestazione di ieri voleva attirare l’attenzione sulla situazione disperata di queste famiglie. Una signora anziana, di ritorno dal mercato del sabato in piazza Dante, incuriosita chiede cosa succede, chi siano tutti quei bambini che saltano, corrono, abbracciano padri e madri e volontari. «Sono famiglie di migranti che tra poco non sapranno dove andare a dormire perché la Provincia non si occupa di loro. Sono mamme e papà con i loro figli». La donna guarda i bambini, sorride. Poi dice solo questo: «Non è giusto».