La sentenza d'appello
sabato 26 Ottobre, 2024
di Benedetta Centin
«Eliminata la condotta di produzione e commercializzazione del formaggio infetto, Mattia Maestri non avrebbe contratto alcuna patologia». Perché, alla luce di quanto emerso, anche per il tribunale di secondo grado «è accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del nesso causale: l’unica ipotesi causale scientificamente possibile e razionalmente credibile rimane quella accusatoria». Insomma, se il formaggio con latte crudo «Due Laghi» – risultato contaminato dal batterio dell’escherichia coli – non fosse stato prodotto e nemmeno messo in vendita dal caseificio sociale di Coredo il bambino nel 2017, quando aveva solo 4 anni, non avrebbe contratto la Seu, la sindrome emolitico-uremica, causata dal batterio dell’escherichia coli, che lo ha ridotto in stato vegetativo. «Con una percentuale di invalidità del 100%» è accertato.
In particolare, «se il presidente del Caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi avesse vigilato sull’operato del casaro Gianluca Fornasari, non sarebbe stato prodotto un formaggio infetto ovvero, anche se prodotto, non sarebbe stato commercializzato ma anzi ritirato, avendo peraltro il presidente, come già troppe volte detto a questo punto, il potere-dovere di farlo» scrive il giudice. E, ancora, «i dati dimostrano che il comportamento doveroso mancato era in realtà perfettamente esigibile da parte del presidente e del casaro». E quanto all’evento, «sotto il profilo della prevedibilità, appartiene al tipo di quelli che la norma violata mirava ad evitare». Sono questi alcuni dei passaggi della sentenza del tribunale di Trento, in particolare del giudice Massimo Rigon, che a luglio scorso ha rigettato l’appello proposto dai difensori dei due imputati, dell’allora legale rappresentate del caseificio Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari, in qualità, ai tempi, di responsabile del piano di controllo. I due, in secondo grado, assistiti dagli avvocati Giovanni Rambaldi e Alessio Eccher, si sono infatti visti confermare le condanne emesse dal giudice di pace di Cles.
Una condanna al massimo della pena prevista per il reato di lesioni personali colpose gravissime e cioè a una sanzione di poco meno di 2500 euro ciascuno (esattamente 2478 euro). «Risulta condivisibile la decisione di indicare una pena base superiore al minimo edittale – si legge nella sentenza di Rigon – e cioè in ragione (proprio) della gravità del danno cagionato alla persona offesa che, nel caso in esame, appare di dimensioni gargantuesche». Lo stesso Rigon, in sentenza, ha anche smentito i consulenti degli imputati: «Non è vero che la mancata individuazione del cosiddetto agente causale indistinguibile nell’alimento e nel paziente impedisce, scientificamente, l’accertamento del rapporto causale». E quanto alla difesa degli imputati ha scritto: «Il percorso logico-scientifico cui fa riferimento per revocare in dubbio l’esistenza della prova del nesso causale tra l’ingestione del formaggio contaminato e lo sviluppo della malattia risulta viziato».
Sul fronte danni invece, a differenza del giudice di pace di Cles, che si era dichiarato incompetente, il giudice Rigon ha condannato i due imputati a pagare in solido una provvisionale, e cioè una prima trance di risarcimento, di un milione di euro totale. In particolare si tratta di 600mila euro da liquidare al bambino che oggi ha undici anni ed è sempre in gravi condizioni, e 200mila euro alla mamma e altrettanti al papà, «alla luce dell’immane dolore patito dai genitori e dello sconvolgimento delle loro abitudini di vita». Difensori della famiglia che si è sempre battuta per l’accertamento della verità e per scongiurare che possa riaccadere quanto successo a loro figlio, gli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello.