Il diario da Baku

mercoledì 13 Novembre, 2024

Cop29: guerre e rapporti minacciano l’azione climatica

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Da Donald Trump per gli Stati Uniti, a Xi Jinping per la Cina, molti i leader mondiali assenti durante i discorsi di apertura nella capitale dell'Azerbaigian

I numeri non dicono tutto, ma qualcosa dicono. Le prime due giornate della Cop29 sono state dedicate ai discorsi dei leader dei 198 Paesi riuniti sotto la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. In tutto sono attesi circa 90 capi di Stato, ma forse, più dei messaggi lanciati da chi era presente, a far parlare e pensare è soprattutto la lista degli assenti illustri: da Donald Trump per gli Stati Uniti, a Xi Jinping per la Cina, Narendra Modi per l’India, Luiz Inácio Lula da Silva per il Brasile, fino a Emmanuel Macron per la Francia, Olaf Scholz per la Germania e Ursula von der Leyen per l’Unione Europea. Sono molte e complesse le ragioni di queste assenze: per qualcuno una crisi di governo interna, per altri la parziale sovrapposizione con il vertice del G20 in Brasile il 18 e 19 novembre, per quasi tutti due costose e difficili guerre in corso in Medio Oriente e in Ucraina. Senza contare le altre numerose e dimenticate crisi umanitarie in Yemen, Afghanistan, Sudan, Congo, Kurdistan, Balochistan, Nagorno-Karabakh/Artsakh. Il clima, in questo momento, non è in cima alla lista delle priorità.
E sì che già nei mesi scorsi la presidenza azera aveva espresso il proprio impegno affinché la cooperazione sulle questioni climatiche potesse contribuire ad allentare le tensioni globali. Nelle intenzioni degli organizzatori, la Cop29 vorrebbe avere l’ambizione di essere la prima «Cop della pace», incentrata sulla prevenzione di futuri conflitti alimentati dalla crisi climatica e accompagnata da una «tregua Cop», una sospensione delle ostilità per i 15 giorni di durata della conferenza, sul modello della tregua olimpica. Proprio il governo azero, tuttavia, è il primo a mancare di credibilità nel farsi promotore di questa iniziativa. Come ha denunciato l’attivista svedese Greta Thunberg, infatti, è poco verosimile che l’Azerbaigian, autoritario e violatore dei diritti umani, possa ospitare una «Cop della pace». Come testimoniano i rapporti delle ong Human Rights Watch e Freedom Now, il governo di Ilham Aliyev, al potere da vent’anni, ha un passato e un presente di abusi sui diritti umani. Negli ultimi due anni per gli attivisti indipendenti, i media e i difensori dei diritti umani la situazione è solo peggiorata, con la progressiva messa in atto di un sistema normativo sempre più repressivo. Sullo sfondo, inoltre, rimane il conflitto non del tutto risolto con l’Armenia, con una pace imperfetta e 23 prigionieri di guerra armeni tuttora detenuti nelle carceri azere, e la pulizia etnica che il governo ha perpetrato nella regione del Nagorno Karabakh. Proprio il conflitto tra Azerbaigian e Armenia tra il 2020 e il 2023 è la causa della situazione diplomatica tesa tra governo azero, Francia e India e della decisione di Macron e Modi di disertare la Conferenza sul clima di Baku.
Ma c’è dell’altro. La sensazione di fondo è che l’Azerbaigian non abbia il peso diplomatico necessario per assicurare un accordo significativo. Nel contesto attuale di crescente crisi del multilateralismo e della fiducia tra Nord e Sud del mondo, servirebbe invece una presidenza forte, capace di guidare i Paesi in un dialogo costruttivo. L’agenda della Cop 29, incentrata sui finanziamenti necessari per sostenere l’azione climatica, pone una serie di temi difficili e divisivi. Finora i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo non sono riusciti a trovare un accordo sul nuovo obiettivo globale di finanziamenti per il clima: i primi, tra cui l’Ue, chiedono che le economie emergenti, come la Cina, abbiano anch’esse l’obbligo di contribuire a finanziare la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica nei Paesi in via di sviluppo; i secondi, facendo riferimento all’Accordo di Parigi, richiamano le nazioni ricche alle loro responsabilità. «In questo momento, il processo multilaterale su cui il mondo fa affidamento per affrontare la crisi climatica è in serio pericolo – ha dichiarato Harjeet Singh, portavoce dell’iniziativa globale Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili –. Le nazioni ricche sono rimaste molto al di sotto dei loro impegni, non riuscendo ad abbandonare i combustibili fossili e a fornire il necessario sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo per una transizione verde e per affrontare gli impatti del cambiamento climatico». La diminuzione della presenza di leader di alto livello alla Cop 29 è un segnale evidente dell’erosione della fiducia in questo processo, proprio quando l’unità è fondamentale.
D’altra parte, ciò che i Paesi porteranno alla Conferenza in termini di azioni per mobilitare maggiori finanziamenti sarà in definitiva più importante dei capi di Stato che si presenteranno. Conclusi questi due giorni di discorsi, sarà da vedere se le delegazioni nazionali metteranno sul tavolo impegni concreti.