L'esperta

sabato 30 Novembre, 2024

Paola Laforgia da Seul a Trento: «Bts, K-Pop e cinema: racconto la grande onda coreana»

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L'autrice questa sera alla libreria Due Punti presenta il suo libro «Fattore K»: «La Corea del Sud è un simbolo di un mondo post-coloniale che vive di molteplici punti di riferimento, anche culturali»

Parasite è uno dei film, se non il film, più importante degli ultimi 20 anni, i Bts sono un fenomeno mondiale, Squid Game è stata una delle serie evento degli ultimi anni e la reincarnazione di Michael Jordan si chiama Faker (pseudonimo di Lee Sang-hyeok) ed è un campione degli E-sports. La cultura coreana ormai è ovunque e arricchisce il panorama di quasi tutte le arti, K-pop e K-drama non sono più parole di nicchia, ma simboli di prodotti culturali di massa che hanno un grande pubblico anche in Italia, Europa e negli Stati Uniti. «Si parla di grande onda, ma in realtà è la quarta ondata che arriva dalla Corea del Sud. Figlia a sua volta di una progressiva diffusione che va avanti ormai da trent’anni» spiega Paola Laforgia, consulente discografica che vive a Seul e autrice di «Fattore K» (Add editore). L’autrice sarà a Trento questa sera per presentare il libro, un’occasione unica per conoscere la Corea del Sud e la sua cultura attraverso l’esperienza di chi ci trascorre la sua quotidianità. L’appuntamento è alle 18.30 alla libreria Due Punti in San Martino a Trento.
Laforgia come nasce la sua passione per la Corea e il K-pop?
«In realtà è nata un po’ per caso. Sono appassionata dal 2007, avevo circa 13 anni. Navigando su internet, non mi ricordo nemmeno come, scoprii una cantante giapponese che mi interessava. Da lì ho iniziato a frequentare un forum online di fan italiani di questa cantante. Da lì ho scoperto i drama giapponesi e poi quelli coreani. Il passo da lì alla musica coreana poi è stato breve».
Ai tempi i suoi erano gusti di nicchia, oggi è cambiato tutto?
«Direi di sì, per quelli della mia generazione, millennials, non era facile condividere questi interessi, non avevo amici nella vita reale interessati a questi prodotti. Oggi invece è facilissimo e spuntano contenuti coreani ovunque. Stanno avendo molto successo con le nuove generazioni, ma non solo. C’è chi si avvicina al K-pop indipendentemente dall’età».
Il fenomeno più conosciuto sono i BTS, ma dietro di loro c’è tutto un mondo?
«Certo, loro sono un fenomeno di massa, ma non sono gli unici e altri prima di loro hanno aperto la strada. In un certo senso i BTS sono stati il gruppo giusto al momento giusto. Molti fan pensano che loro abbiano spianato lo strada ad altri artisti coreani, ed è vero, ma è anche vero che il loro successo mondiale è frutto anche delle band precedenti che avevano preparato il terreno».
Leggendo il suo libro stupisce scoprire le influenze della musica afroamericana sulla nascita del K-pop.
«È un mix di tante cose. C’è chi dice che il K-pop sia solo una copia del pop americano, io ci tenevo a mostrare che non fosse così. Certo ci sono delle influenze, basti pensare che, con Giappone e Germania, la Corea del Sud è il Paese con la più alta concentrazione di basi e militari americani e questo ovviamente ha un influenza. Dopo la guerra di Corea le basi militari americane sono state il tramite di tante influenze e commistioni che hanno dato vita a qualcosa di nuovo. Poi c’è stato anche il fenomeno della diaspora coreana verso gli Stati Uniti a cui ha fatto seguito il ritorno in Corea dei figli della diaspora, un ritorno ricco di nuove influenze».
In che modo invece la cultura coreana sta influenzando quella occidentale?
«Secondo me si vede molto, soprattutto nel rapporto con i fan. Molte etichette americane stanno cercando di replicare il legame forte che esiste in corea tra gli artisti e il loro pubblico. In occidente questa cosa c’è molto meno, certo esiste Taylor Swift, ma è un’artista grandissima e un caso particolare, in Corea anche una band poco nota ha un suo pubblico forte e devoto. Nel K-pop si è prima di tutto fan della persona, perché l’artista fa tutto: musica, recita, sta nei programmi. E quindi i fan lo seguono e lo supportano a 360 gradi, anche quando fa qualcosa che piace un po’ meno. Un po’ come si farebbe con un amico».
Perché secondo lei è importante conoscere la Corea e la sua cultura?
«Perché viviamo in un mondo sempre più globale, non esiste solo l’occidente. E la Corea del Sud è un simbolo di un mondo post-coloniale che vive di molteplici punti di riferimento, anche culturali. Poi credo che possiamo imparare tanto da un paese come la Corea che ha investito tanto nella sua cultura».