l'editoriale
mercoledì 4 Dicembre, 2024
di Simone Casalini
Le fronde dell’albero Benko, per come appaiono dall’inchiesta della Procura di Trento, sono numerose e molto articolate. E avrebbero costituito un’associazione a delinquere che ricorreva a modalità mafiose per commettere reati contro la pubblica amministrazione. In sostanza, per ottenere appalti, concessioni, favori e altri benefici, tutti ampiamente ascrivibili alla pubblicistica storica della corruzione politica. Un quadro talmente desolante – nove arresti e 77 indagati, oltre cento perquisizioni – che riporta il Trentino indietro nel tempo, quello più recente con Giano bifronte e quello più remoto con Tangentopoli, all’alba degli anni Novanta.
Alcune accuse paiono molto circostanziate con passaggi di denaro e benefit personali per una platea di politici che ne escono come le maschere di Totò. Altre, quella sull’esistenza di un presunto sistema comandato da René Benko, miliardario austriaco in via di sfacelo, e sottocomandato dai suoi delfini (Heinz Peter Hager, il commercialista collezionista d’arte, e Paolo Signoretti, imprenditore arcense) con il beneplacito della sindaca di Riva del Garda, Cristina Santi, sono tutte da dimostrare. Misureremo nei prossimi mesi la tenuta dell’impianto delle indagini – che comunque cambieranno le prospettive del prossimo appuntamento elettorale a Riva del Garda (e non solo) dove difficilmente Santi potrà ripresentarsi – che hanno avuto come epicentro gli affari immobiliari del magnate austriaco, diventato ricco sistemando soffitte (così ha sempre raccontato, per alcuni una versione edulcorata), e l’ex area Cattoi su cui da anni si scaricano tensioni politiche e economiche. Un compendio che ha alimentato la contrapposizione con la precedente giunta rivana, guidata da Adalberto Mosaner, finita a carte legali e che aveva trovato invece una composizione con Santi. Gli affari di Hager e Signoretti (in nome di Benko) però non si sono limitati all’ex Cattoi e all’Alto Garda. Hanno trovato declinazione nell’ex hotel Arco – finito anch’esso nell’inchiesta – e in alcune operazioni su Rovereto con la società Rovim srl che si sono sostanziate nell’area ex Marangoni Meccanica (68 alloggi green), all’ex Favorita e all’ex Siric. Tra i loro partner figura anche Diego Schelfi, ex presidente della Cooperazione, che non è lambito dalle indagini. Gli ultimi appetiti erano scivolati su Trento con partite tutte da discutere (la revisione della stazione delle corriere su tutte).
Signoretti estraneo alla politica non lo è mai stato. Prima molto vicino alla Margherita nei suoi anni di ascesa, poi come sostenitore di un’associazione giovanile vicina al Pd nel capoluogo, infine come supporter della sindaca Santi. Come emerge dalle carte istruttorie, però, con una serie di relazioni bipartisan che prevedevano anche il finanziamento di campagne elettorali e sostegni economici a vario titolo, passaggi su cui la magistratura ha il compito di scremare ciò che è penalmente rilevante da ciò che non lo è. Il quadro che ne emerge è quello, tuttavia, di un atteggiamento improntato ad una notevole disinvoltura e ad una generosa disponibilità.
Certo, se pesci importanti della politica (sindaci, ex senatori, ex consiglieri provinciali, amministratori pubblici) o pesci di taglia minore finiscono anche solo nella zona grigia dei comportamenti (il)leciti è giusto interrogarsi sugli anticorpi del sistema democratico e della società. In questi giorni avrei voluto scrivere un’altra riflessione legata alla «questione amorale». Senza mitizzare il j’accuse di Enrico Berlinguer, ora restituito al presente da un film di Andrea Segre, ma prendendolo solo a unità di misura di due tempi storici differenti credo sia giusto chiedersi se assistiamo ad un cambio di scenario e di valori. La fase moralizzatrice di Tangentopoli, le monetine lanciate a Craxi, le norme anti-candidature per i condannati, l’esasperazione giudiziaria sembrano aver lasciato il posto al disinteresse e al fatalismo. L’amoralità è indifferenza e abbandona del binomio bene-male che regola e disciplina molte nostre azioni. Chi si occupa di politica oggi è troppo diviso in fazioni per condividere le regole del gioco e i valori che lo alimentano. L’elezione di Donald Trump ha lavato le sue tante macchie penali nel nome del complotto e della riduzione dell’apparato statale che complica la vita (dei primi). Il presidente uscente Joe Biden che grazia suo figlio, spiazzando dem e repubblicani, dimostra un uso della politica a fini familiari. L’ultimo cadeau prima di uscire dalla Casa Bianca. L’elenco è potenzialmente infinito, la debolezza umana si dirà, e coinvolge anche i «moralizzatori» corrotti dalle luci del Palazzo. Tutti uniti sotto l’insegna del «si può fare».
La sottile linea dell’equilibrio tra politica e affari è poi oggi transitata dai partiti alle persone. Agli amministratori, nello specifico. Che sono esposti spesso a rischi non sempre facili da decifrare. Sono molto soli, e questa non è una giustificazione ma una constatazione. Siamo tutti molto soli, per scelta perché abbiamo allontanato l’idea di una vita in comune di cui la politica è l’espressione più autentica. A questa crisi del politico se ne associano almeno altre tre: quella del sociale nell’era della massimizzazione personale e dopo la frattura del 2008; quella culturale perché è una società che non riesce più a pensare contro sé stessa e quindi non coltiva più l’alternativa; quella dell’idea di giustizia, naufragata nell’ingiustizia, nell’ineguaglianza e anche in un sistema kafkiano che alimenta spesso sé stesso, non esente da errori, che sfiducia il sentimento popolare.
In attesa che l’indagine faccia il suo corso, sarebbe importante comprendere se davvero c’è una «questione amorale» alle porte. Perché in quel caso ci riguarderebbe tutti, dalla pubblica amministrazione alle associazioni in cerca di finanziamenti al singolo cittadino in lotta per l’affermazione del suo privilegio. Significherebbe, in poche parole, che il sistema è diventato cultura.
L'editoriale
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