Il report

mercoledì 11 Dicembre, 2024

Fertilizzanti, ecco il piano anti-inquinamento

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Varata la strategia sulla gestione sostenibile dei sottoprodotti degli allevamenti. Contaminati 3 bacini idrici: dal rio Moscabio (Val di Non) al fiume Brenta

Non sempre è facile bilanciare fra esigenze produttive ed esigenze di tutela ambientale, a maggior ragione nelle filiere dove il contatto con la natura è così diretto come nell’agricoltura e nell’allevamento. Stando ai dati del monitoraggio 2016-2019 dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa), alcuni fiumi e laghi del Trentino sono risultati inquinati da reflui zootecnici e digestato. I bacini idrici interessati erano tre: il rio Moscabio della Val di Non, il lago di Serraia sull’altopiano di Piné e il fiume Brenta, nel tratto compreso tra Levico e Borgo Valsugana. In risposta a questi problemi d’inquinamento l’Appa ha realizzato il piano sulla gestione sostenibile degli effluenti zootecnici in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach (Fem), la Federazione provinciale degli allevatori (Fpa), l’Associazione produttori ortofrutticoli trentini (Apot) e il Consorzio tutela vini trentino. Il report è stato pubblicato nei giorni scorsi.

I nitrati: cosa sono
I materiali da gestire sono di due categorie: effluenti zootecnici, ossia principalmente le deiezioni (feci e urina) degli animali, e fertilizzanti per l’agricoltura. Su queste due categorie si concentra la direttiva europea «Nitrati», che mira a proteggere le acque sotterranee e superficiali dall’inquinamento di nitrati.
I nitrati sono composti di azoto che, assieme a quelli di fosforo, rischiano di inquinare le acque se non adeguatamente gestiti. Le maggiori criticità sono legate alla conformazione geografica del Trentino, che offre spazi limitati per lo spargimento degli effluenti zootecnici, e alla difficoltà di immagazzinare adeguatamente i reflui. Se presenti in misura eccessiva, questi producono un eccesso di nitrati nell’acqua.
Questo eccesso di nutrienti, oltre che dannoso per gli esseri umani, è fortemente alterante per l’ecosistema acquatico. Le acque eccessivamente ricche (sovra)producono alghe e altri vegetali, la cui decomposizione comporta il consumo della riserva di ossigeno dell’acqua: si rischiano moria diffusa di pesci, formazione di sostanze organolettiche indesiderate (come l’idrogeno solforato) e forti danni alle comunità biotiche.
Per evitare tutto ciò, è necessario un piano strategico che da un lato aiuti gli allevatori nella gestione degli effluenti zootecnici e dall’altro si preoccupi di fornire gli agricoltori ammendanti di qualità a costi accessibili e quantità adeguate.

I biodigestori
Le iniziative per la gestione degli effluenti possono essere riassunte in due parole: trattamenti e delocalizzazione. Per quanto riguarda i primi, spicca sicuramente la soluzione dei biodigestori. I biodigestori sono degli impianti tecnologici che mirano a trasformare materiali organici (quali gli effluenti zootecnici) in biogas o digestato, tramite un processo di fermentazione anaerobica. I biogas possono essere fonti di energia rinnovabile, mentre i digestati possono fungere da fertilizzanti o ammendanti naturali.
Un caso concreto (e attivo, dal 2019) in terra trentina è quello del biodigestore Alta Anaunia Bio Energy di Romeno, che ha fornito i dati separati del digestato separato solido consegnato nel 2023. Questo è stato perlopiù consegnato alle aziende frutticole della Val di Non (3.668 metri cubi), e in parte fuori valle ma comunque in Trentino (520 metri cubi). Un altro impianto è in fase di costruzione nelle Giudicarie.
Questi impianti di trattamento degli effluenti necessitano di una rete di delocalizzazione, ossia di riallocazione del digestato per ammendare e fertilizzare i campi. La ripartizione sul territorio è resa possibile da un preliminare trattamento del digestato, che può essere solido o liquido: la parte solida deve essere stoccata e movimentata periodicamente per migliorare la qualità della sostanza organica e rendere l’azoto più stabile e utile per le piante; la parte liquida, invece, può essere essiccata utilizzando il calore in eccesso prodotto dagli impianti di biogas. Questo processo riduce il volume del digestato di oltre il 90%, rendendolo più facile da conservare e trasportare. Nel caso di Romeno, questa rete è efficiente e funzionale: solo il 13,8% del digestato solido prodotto è stato usato a Romeno.

La maturazione controllata
Fra le altre iniziative, c’è poi la maturazione controllata (e accelerata) del letame. Consiste essenzialmente nel disporre il letame paglioso in cumuli a sviluppo longitudinale, di movimentarlo periodicamente con apposite macchine rivoltatrici e di coprirlo con teli in geotessile. In circa 3 mesi si ottiene un ottimo ammendante. In Trentino è una pratica in uso già alcune aziende della Val di Non e della Val di Sole, mentre un’iniziativa che coinvolge un numero più elevato di imprese si sta avviando in Val di Ledro.