L'INTERVISTA

domenica 22 Dicembre, 2024

Francesco Moser: «Ora convivo con la mia Mara e mi occupo delle galline. Saronni? Non gli parlo più»

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Lo Sceriffo su Ignazio e Cecilia: «Aspettano un bambino? Non lo so, bisogna chiedere a loro»

Francesco Moser, a 73 anni, fa il…Francesco Moser. Perché basta il mito. Che è anche un brand. «Che vuole, io ormai sono un pensionato, sistemo l’orto, mi occupo delle galline e dei cani. Il vino ora lo fanno mio figlio Carlo e mio nipote Matteo. Il prodotto di punta porta il mio nome, “Moser 51,151 Brut”, uno spumante Trentodoc che celebra il record dell’ora del 1984. Io mi limito a ricevere i clienti, a fare con loro qualche foto, li accompagno al mio museo che c’è qui al maso…».
Lo Sceriffo – il ciclista italiano con più vittorie di strada di sempre (273) e il terzo assoluto dopo Merckx e Van Looy – accenna un sorriso sornione nella tenuta di Maso Warth, il suo buen ritiro a Gardolo di Mezzo, sulle colline trentine tra i vigneti: «Ho comprato il Maso nel 1988, quando ho smesso di correre. Ma il vino ho iniziato a farlo dieci anni prima a casa mia, Palù di Giovo. I vigneti li abbiamo qui e in Val di Cembra».
A Maso Warth c’è l’azienda vitivinicola. C’è il Museo Moser, tempio degli appassionati con le memorabilia dei suoi trionfi: il Giro d’Italia del 1984, il Mondiale del 1977, le tre Parigi-Roubaix, i due Lombardia, la Milano-Sanremo e la Freccia Vallone. Ma c’è soprattutto un ex campione che è un signore di 73 anni sereno e innamorato della sua Mara (Mosele), 17 anni più giovane, da qualche anno compagna di vita: «Adesso praticamente conviviamo. Prima stava a casa sua nel trevigiano, adesso da un po’ è sempre qui con me. Stiamo bene».
Lo dice quasi a mezza voce…
«Sa non sono bravo a parlare di amore…».
Preferisce parlare di campagna.
«Sono stato contadino fino a 18 anni, quando ho iniziato a correre ed è cambiata la mia vita. Ma quel cordone ombelicale non si è mai spezzato. Durante la carriera agonistica compravo terreni, così quando ho smesso sono tornato alle origini».
Tanti ex quando smettono sgomitano per restare visibili. Lei si rifugiò in campagna…
«Avevo passato vent’anni a correre, correvo sempre, sabati e domeniche comprese, non avevo tempo per altro. Quindi non vedevo l’ora di recuperare il tempo perduto. La terra è fatica, ma anche bellezza e soddisfazione. Lavorarla è sempre stata la mia più grande passione. La natura è uno spettacolo. Quando ho chiuso la carriera sapevo che avrei voluto invecchiare così».
Suo figlio Carlo porta avanti l’azienda, prima di lei l’altra figlia Francesca. Ignazio, il più famoso della prole, ex concorrente al Grande Fratello, ha scelto la tv. Le dispiace ancora?
«Lui ha la sua vita, come è giusto che sia, anche se magari avrei preferito altro, ma mi adatto. Sta a Milano, ma sale spesso qui da noi. Con Cecilia (Rodriguez, sorella di Belen, ndr) si sono sposati e sono felici».
Pare che le vogliano dare presto un nipotino…
«Ah questo non lo so (ride, ndr), dovete chiederlo a loro».
Prima di parlare di ciclismo, vorrei parlarle…di ciclismo: ha fatto pace con Saronni?
«Guardi io di lui non voglio parlare…».
Lo aveva ospitato al Maso, ma poi ha rilasciato delle dichiarazioni che non le sono andate giù…
«È lui che fa di tutto per non andare d’accordo, io non avrei problemi. Abbiamo smesso di correre una vita fa. Francamente non lo capisco».
Lei ha vinto di più.
«Non so se è questo. Lui però è stato un grande rivale in bici».
Una rivalità seconda solo a quella Coppi e Bartali per epica.
«Io e Saronni, pur di non fa vincere l’altro, lasciavamo andare il resto del gruppo. Chissà, se fossimo andati d’accordo avremmo vinto di più entrambi».
Non si lamenti. Con 273 vittorie è il primo italiano e il terzo assoluto. E sarà difficile scalzarla…
«Credo anch’io, ma è perché è cambiato il ciclismo. Io correvo tutto l’anno, grandi Giri e Classiche, facevo le crono e anche le volate. Ed ero capitano assoluto della mia squadra, tutti correvano per me. Oggi le squadre sono formate da tanti specialisti e più capitani che si suddividono il calendario e le corse. Gli sprinter non sanno fare una salita, i campioni che vincono i Giri non li vedrai mai sprintare. Ci sono grandi fuoriclasse, Pogacar su tutti, ma anche Van der Poel e Vingegaard: loro saprebbero far tutto, ma corrono meno di me, difficilmente mi raggiungeranno».
Correva tantissimo, ma il Tour de France solo una volta, peraltro chiuse con un buon settimo posto…
«Non avevo una squadra adatta. Rischiavo, insomma, di far brutta figura».
Il ciclismo di oggi vive una fase molto appassionante, ha citato tre fuoriclasse che hanno ridato slancio a questo sport…
«È un bel momento, sì, ma continua a mancarci il campione italiano. Dopo Nibali non è emerso nessuno, e sono pochi anche quelli di ottimo livello. Mi piacciono Milan e Ganna. Ganna mi somiglia, è un passista forte a cronometro, adesso so che punterà alle Classiche, gli auguro di far bene, anche se la mole pesante può sfavorirlo. Per il resto non vedo molto».
Perché questa penuria di italiani?
«Il movimento si è ridotto, non ci sono più squadre italiane. Mancano gli investitori. L’Italia era capofila del ciclismo, aveva le squadre più forti e ospitava tantissime corse importanti. Di conseguenza avevamo i corridori più bravi. La globalizzazione ha cambiato tutto».
Ciclismo specchio del Paese.
«Il movimento si è spostato verso i grandi capitali multinazionali. Quando correvo c’erano dieci squadre italiane di primo piano e i corridori stranieri venivano a correre da noi. Oggi accade il contrario. È cambiato il mondo».
Quindi?
«Il fuoriclasse ti può uscire lo stesso, quella è madre natura – Pogacar è sloveno e il movimento sloveno non è certo migliore del nostro, anzi – ma se non hai squadre e corse non formi i corridori di medio-alto livello».
La sua vittoria più bella: Giro o il Mondiale?
«Il Giro, perché è una corsa che dura tre settimane e quell’anno vinsi anche 4 tappe, non uno scherzo. Eppoi quel successo arrivò a quasi 33 anni, dopo tre secondi posti e un terzo posto».