L'editoriale

domenica 25 Dicembre, 2022

Disuguaglianza, un osservatorio per costruire nuove politiche

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Una società più giusta, con più possibilità e meno disparità, è anche l’augurio che rivolgiamo a tutte le nostre lettrici e lettori. Buon Natale

La contraddizione è l’unità di misura che ci consente di apprezzare la forbice della disuguaglianza. Se stiamo al racconto degli ultimi giorni, la strada ci ha restituito un’emarginazione strutturata che non trova risposte e nemmeno cittadinanza e che quindi si crea un giaciglio sopra le grate che soffiano aria calda. Oppure alberga sotto i ponti e nei terreni inquinati dell’ex Sloi in baracche che sembrano persino ricoveri di lusso rispetto alla crudeltà del resto. Oppure, ancora, che raggiunge un dormitorio serale per ingannare il freddo e guadagnare un sonno che la notte all’aperto non consente perché il congelamento si evita solo camminando, incessantemente. Si dirà che è fisiologico.
Per rimanere sempre alle cronache il refettorio del Punto d’incontro di via Travai ha servito 41mila pasti in nemmeno un anno con un’utenza traversale in cui il ritorno degli italiani è un fenomeno non laterale. Spostandosi in collina, nelle sue prime manifestazioni, la storica mensa dei poveri dei cappuccini opera anche nel tempo della declericalizzazione radicale che pone più di una questione sull’avvenire del convento. Sono 60mila i coperti serviti ogni anno da un esercito di 350 volontari per un popolo silenzioso che si arrampica fino a lì per poi dissolversi e ricomporsi di nuovo al pasto successivo. Si dirà che è fisiologico.
La Caritas ha raddoppiato in quattro anni la propria utenza che ha necessità di un contributo economico. Il sostegno si rivolge ad un target di persone o famiglie che oscilla tra zona grigia e nera: possiede ancora una casa, non può sostenere il costo delle bollette (sono in diecimila) e rischia lo sfratto. E quindi di finire in una delle casistiche iniziali. Alcune delle ragioni della semi-indigenza si ritrovano tra le statistiche economiche e sociali: disoccupazione femminile, crisi di alcuni settori tradizionali, disgregazioni di nuclei familiari, costo della vita. Poi c’è una zona di sopravvivenza, fatta di chiaroscuri, in cui si muove un segmento non indifferente della società. A cui l’inflazione, il caro energia o un’entrata in meno modificano radicalmente la qualità della vita, spingendoli verso l’area più a rischio. Si dirà che è fisiologico.

Passando dalla pagina sociale a quella economica, le sensazioni cambiano e i timori si attenuano. Il 2022 è stato un anno che ha fatto registrare una buona crescita complessiva. Bankitalia ha certificato il primo sorpasso di Trento su Bolzano in termini di Pil (+ 3,7% che significano 150 milioni di euro di entrate in più per la Provincia), l’export è salito del 7,7% e il tasso di occupazione ha sfiorato il 70%. I bilanci delle imprese, anche del mondo cooperativo o delle parapubbliche (leggi A22), sono tornati a livelli pre-Covid e non di rado imprimono alla statistica il timbro di eccezionalità. La sostenibilità è un concetto ormai uscito dalla teoria e dalla retorica per incarnarsi nella produzione e nel lavoro come la nostra pagina di «Terra Madre» testimonia ogni giorno. Confindustria (a settembre) e Cgil (a gennaio 2023) hanno dedicato (o dedicheranno) le loro assemblee al tema della transizione ecologica che deve abbinare innovazione, business, umanità, equità, diritti. Il Trentino ha una vocazione genetica (il territorio, le alpi), culturale (la cooperazione solidale) e politica (l’Autonomia), tre condizioni che sono un manifesto alla sperimentazione. Con l’università e il mondo della ricerca ad agire come propellente, intellettuale e empirico.

Occorre, dunque stare attenti che le potenzialità espresse dal territorio – seppur all’interno di una generalizzata crisi di pensiero – siano sviluppate senza fratture. Perché appare sempre più evidente come la società sia balcanizzata, divisa in mondi non comunicanti. Non c’è più nemmeno il filo in tensione dell’idealità politica a suturare i lembi distanti di quello che invece dovrebbe essere un universo comune, con le sue differenze, le sue geometrie, i suoi conflitti che non precludono la convivenza.
La disuguaglianza – di ricchezza, di genere, di provenienza sociale (l’ascensore non sale più) – è, al pari dei cambiamenti climatici, uno dei temi fondanti del nostro tempo. Ha alimentato la dicotomia élite-popolo e quindi l’ampiezza della frattura sociale. Dopo la Grande crisi del 2008, la finanza fuori controllo e le liquidazioni impudiche dei banchieri da default, un’onda ha messo fuori gioco, al pari dei partiti e dei corpi intermedi, anche gli attori del mercato. È una questione sottovalutata, come se fosse laterale rispetto alle priorità del sistema. Invece è la più centrale perché può rappresentare il terreno della ricostruzione di una coesione sociale – pur all’interno di conflitti generativi – e di una strategia d’insieme che ora manca. Anche per egoismo individuale o di classe.

Il Trentino non è immune dalle forbici macroscopiche di altri territori o Paesi – dove la demografia è un elemento discriminante – e osserva il lento incedere della disparità: è quintultimo in Italia nella distribuzione del reddito mentre un quinto della ricchezza è in mano al 5% della popolazione come rileva l’inchiesta che pubblichiamo oggi a firma di Tommaso Di Giannantonio. Nel mondo il 10% della popolazione possiede il 76% della ricchezza e il 52% del reddito.
La disuguaglianza è stata il motore delle rivoluzioni del Nord Africa e del Medio Oriente con l’alba in Tunisia che cacciò l’allora presidente Ben Ali e un sistema logorato dalla corruzione. Lo stesso è accaduto in Egitto con Mubarak, in Libano, mentre in Occidente ha generato esperienze diverse, da Occupy Wall Street al cosiddetto populismo (di destra e sinistra). I tre elementi comuni sono stati la valutazione che il sistema politico avesse fallito, che quello economico non fosse in grado di garantire equità e che l’unione dei primi due punti si traducesse in una deriva dei valori.

Se non accettiamo che tutto ciò sia fisiologico si dovrebbe riflettere su un investimento importante sulla questione della disuguaglianza, mettendo anche a fattor comune e in rete realtà che si misurano settorialmente sull’argomento. Un Osservatorio trentino sulle disuguaglianze che sappia tracciare il fenomeno in modo complessivo e trasversale, che lo misuri puntualmente e che elabori alcune direttrici strategiche per ridurlo o scioglierlo – non limitandolo ai confini provinciali, ma allargandolo – potrebbe allora essere uno strumento attuale e all’avanguardia per non inseguire le emergenze o le debolezze sociali e per immaginare politiche redistributive e di equità più stringenti. Dall’occupazione o l’imprenditoria femminile alle disparità di reddito, dalle barriere sociali di accesso alle professioni agli aspetti multiculturali, dalla distribuzione della ricchezza alla competizione territoriale sono numerosi i fattori che sono interconnessi. Si dirà che è fisiologico, ma così non è.

Una società più giusta, con più possibilità e meno disparità, è anche l’augurio che rivolgiamo a tutte le nostre lettrici e lettori. Buon Natale.