L'intervista doppia

domenica 12 Gennaio, 2025

Federico e Filippo, 25 e 26 anni, da oggi diaconi: «Essere preti sarà una sfida»

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La consacrazione oggi in cattedrale a Trento. «Ora c’è l’entusiasmo ma siamo consapevoli che ci saranno anche giorni difficili, fatiche e paure di fronte a una Chiesa che cambia in modo veloce»

Due diaconi per Trento, uno per il Brasile. Il terzetto degli aspiranti al sacerdozio approda oggi pomeriggio in Cattedrale a Trento dove l’arcivescovo Lauro Tisi imporrà loro le mani invocando lo Spirito Santo. Un rito antico che contempla l’impegno del diacono al celibato e all’obbedienza al proprio vescovo o al proprio superiore. Per coloro che fanno parte di un ordine o di una congregazione religiosa, c’è anche il voto di povertà, l’impegno cioè a non possedere nulla in proprietà. Nella scala gerarchica della Chiesa cattolica il diaconato è il primo dei tre ordini maggiori (diacono, sacerdote, vescovo). Il rito di oggi, domenica 12 gennaio 2025, prelude all’ordinazione presbiterale. Il presbitero era colui al quale, nei primi secoli della Chiesa, era affidato il governo della comunità. Per tale ragione era investito della dignità sacerdotale. E dunque domandiamo a Federico Mattivi, 25 anni, da Pergine Valsugana e a Filippo Zanetti, 26 anni, da Darzo, due dei tre giovani che oggi saranno consacrati diaconi perché hanno deciso di farsi prete.
Mattivi: «La scelta di entrare in seminario è stata frutto di incontri, delle esperienze che ho fatto, soprattutto in Oratorio a Pergine. E poi anche la fede che avevo e mi suggeriva che una vita piena poteva essere quella donata per Gesù Cristo».
In famiglia come l’hanno presa?
Mattivi (genitori e un fratello): «Sono felici di sapere che io sono contento, quindi sono molto sereni».
Zanetti (genitori, un fratello e una sorella): «Al principio non benissimo. Io facevo un altro percorso (università di economia a Brescia). La mia scelta è stata un po’ improvvisa. Poi, nel corso degli anni in seminario hanno visto che stavo bene, ero felice, ed anche loro si sono adattati a questa scelta».
Federico e Filippo sono laureati in teologia. Che cosa faranno da grandi, come si dice?
Mattivi: «Quest’anno faremo i diaconi, impegnati nel ministero in parrocchia. Io a Povo e Villazzano; Filippo a Mori».
Siete delle mosche bianche in questo inverno clericale.
«Diciamo che non siamo una svalangata di seminaristi…».
Non dev’essere stata una scelta facile.
«Nessuna scelta per la vita è facile. Ammiro molto anche le coppie che scelgono di sposarsi. È un “per sempre”, detto in forme diverse, e in cui Dio è molto presente. Io personalmente non lo vivo con facilità, è una sfida. Oggi c’è l’entusiasmo ma siamo consapevoli che ci saranno anche giorni difficili, fatiche e paure di fronte a una Chiesa che cambia in modo veloce, soprattutto di questi tempi».
Dentro una società che si secolarizza sempre più.
«L’annuncio del Vangelo resta per noi una missione e quindi ci proveremo dove saremo chiamati a dare testimonianza».
Che cosa vi hanno chiesto, che cosa vi hanno dato le comunità che avete frequentato in questi anni: il Sermig a Torino o un gruppo di preghiera a Senigallia?
Zanetti: «Da quando siamo in seminario, abbiamo sempre fatto servizio in parrocchia. Ciò che più mi ha sorpreso è stato vedere i giovani che ti cercano, ti incoraggiano …».
Tuttavia, par di vedere, i giovani che frequentano le parrocchie sono sempre meno.
«Vero, ma non è che siamo estinti perché anche noi siamo giovani. La realtà rispecchia quello che sarà la testimonianza della fede nel prossimo futuro. Una minoranza di cristiani, pertanto anche pochi giovani. Tuttavia vedo che quei pochi che frequentano le nostre chiese sono giovani che cercano risposte. A me piace partire da loro per arrivare a tutti. Questa è la sfida che la parrocchia ci chiede».
Mandati, magari, in un paese alla periferia della diocesi.
«In quel paese tu non sei lì solo per la gente che frequenta la chiesa ma devi cercare e essere a servizio anche di chi sta fuori. Questa è la sfida che ci interpella».
Quella che un tempo è stata terra di missionari diventa ogni anno, sempre più, terra di missione.
«La missione è anche qui. Alcuni vedono in modo negativo questo calo di frequenza. A me non dispiace perché mi fa capire che oggi siamo sfidati ad annunciare il Vangelo in un terreno più difficile, più erto».
Un tempo il prete era una figura di riferimento, diciamolo pure: un’autorità (allora) autorevole. Oggi fare il prete non è proprio appagante.
«Oggi fare il prete vuol dire stare insieme alle persone, condividere con loro gioie e sofferenze. In definitiva annunciare e testimoniare il Vangelo».