il racconto

mercoledì 15 Gennaio, 2025

Malato di leucemia, la storia di Stefano Dalvai: «Grazie al trapianto ora posso vivere le mie figlie»

di

Originario di Borgo Valsugana, 36 anni, oggi partecipa a gare di trail running e maratone per sensibilizzare la comunità sul valore della donazione di organi

«Ogni donazione racconta una storia di generosità e umanità. Sapere di essere toccati da un gesto così nobile può ispirare a vivere la vita con gratitudine e a fare del bene a nostra volta. Al mio donatore gli devo il futuro, grazie a lui ho potuto far scoprire il mondo alle mie bambine». Stefano Dalvai, trentino classe 1988 di Borgo Valsugana, nel 2014 ha ricevuto un trapianto di midollo osseo per sconfiggere una leucemia mieloide acuta che era risultata da subito incurabile. Un intervento che lo ha portato alla rinascita e a intraprendere un percorso sportivo molto speciale. Da quasi nove anni corre incontro a quella che è diventata la sua seconda vita trovando nella corsa, la strada per trasmettere un messaggio di speranza: Stefano partecipa a gare di trail running e maratone per sensibilizzare la comunità sul valore della donazione di organi. E sia in gara che durante gli allenamenti sfoggia la maglia con un hashtag che è diventato il suo motto: #nonsimollaunchazz. Stefano ha toccato il tetto del mondo con la medaglia d’ora conquistata ai mondiali per sportivi trapiantati, è stato per molti anni nel direttivo di Admo (Associazione Donatori Midollo Osseo) Trentino, nel 2023 ha attivato una raccolta fondi per sostenere le attività di ricerca e cura della Fondazione Città della Speranza che supporta bambini malati oncologici. E oggi sfrutta la sua visibilità per «accendere una riflessione sulla donazione», dice.
Stefano Dalvai, in Trentino il 24% delle persone sono contrarie alla donazione degli organi (vedi il T di ieri), rispetto agli anni passati c’è stato un aumento del 4%. Le chiedo un commento su questo dato.
«Non mi sento di dare un giudizio. Il dato dimostra che dobbiamo continuare a dare informazioni corrette».
Perché le persone sono restie a donare gli organi?
«Paura, non è mancanza di altruismo. Il 76% dei trentini è favorevole alla donazione».
Lei si aspettava un «samaritano», uno sconosciuto che le facesse questo regalo?
«No, sono stato fortunato. Ero in lista d’attesa, mi stavo spegnendo lentamente. Ho ricevuto un trapianto di midollo osseo grazie a una persona che ha scelto di donarmelo senza nemmeno conoscermi».
Lo ha mai cercato?
«Le norme sono severe, vige l’anonimato per proteggere il donatore e il ricevente, ma ci scriviamo lunghe lettere attraverso il registro nazionale dei donatori di midollo osseo. Chi dona è spinto da un forte desiderio di aiutare».
Quando è arrivata la buona notizia… come si è sentito?
«Sorpreso. Le terapie non funzionavano: ero rassegnato e lo era anche il medico. Ricordo ancora lo sguardo della gente che mi incontrava per strada : per loro ero morto».
In un certo senso, il trapianto del midollo osseo è stata una nuova nascita…
«La mia rinascita. Dopo il trapianto stavo chiuso in una stanza sterilizzata, isolato dal mondo per evitare infezioni, poi tutto è cambiato ».
Ora come sta?
«Bene, sono un atleta e un papà. Ma non è sempre facile. La gente non capisce che stiamo meglio, ma non siamo più gli stessi: è un continuo fare i conti con il proprio sistema immunitario perché le cure ti debilitano».
Lei parla al plurale…
«Noi trapiantati siamo una famiglia. La malattia unisce».
Prima della malattia, quale era la sua posizione nei confronti della donazione degli organi?
«A 18 anni, dentro di me, desideravo essere un donatore. Solo che ho avuto paura, perché all’epoca c’era una cattiva informazione, mi dicevano “matto, se doni il midollo resti paralizzato”».
Che messaggio si sente di dare a chi è contrario alla donazione?
«Informatevi, la vita di molti bimbi e persone dipende dalla disponibilità di organi e tessuti compatibili».
E a chi si trova in attesa di trapianto?
«Di avere coraggio e credere nella generosità delle persone».