giovedì 16 Gennaio, 2025
di Patrizia Rapposelli
«Siamo una società individualista e ipercompetitiva: il valore assoluto della persona si basa sulla prestazione. Il ragazzo che si ritira, sente di aver fallito», la psicoterapeuta specializzata in hikikomori, Ilaria Postal, commenta così il fenomeno del ritiro sociale dei giovani. Letteralmente significa «stare in disparte». Un termine giapponese, «hikikomori» che viene sempre più usato – in Oriente ma anche in Occidente- per definire un disagio adolescenziale, ma non solo, che viene collegato alla tecnologia. Che diventa l’unica via attraverso cui si mantiene un contatto con il mondo esterno. Il fenomeno ha origine da un rifiuto verso il mondo esterno. La psicoterapeuta, Ilaria Postal, ci aiuta a comprendere chi sono i ragazzi isolati nel mondo digitale.
Dottoressa Ilaria Postal, chi sono e come vivono gli hikikomori?
«Parliamo di ragazzi e ragazze che ad un certo punto perdono interesse nello stare in società, che si sentono inadeguati alle pressioni che arrivano all’esterno. Vivono isolati, non vanno a scuola e non hanno amici. L’età media dei ragazzi che manifestano questo disagio sembra essersi abbassata. La situazione è preoccupante anche in Trentino, ma ancora non abbiamo dati certi».
Hikikomori è un fenomeno partito dal Giappone, ma è in espansione in Italia e in Trentino…
«Sono realtà che funzionano in modo diverso. In Giappone la persona ha un significato se è utile alla società: il soggetto se non si sente tale è legittimato a ritirarsi dal mondo. Da noi, la società è individuale: la difficoltà sta nell’impossibilità di potersi esprimere. Il giovane si sente sovraccaricato da richieste eccessive che fa fatica a soddisfare. A quel punto implode».
Quali possono essere le cause?
«C’è una multicomponenzialità, incide il temperamento del carattere. Sono più predisposti gli introversi. Vivono spesso in una famiglia con la mamma iperpresente e il papà assente emotivamente»
L’isolamento del Covid ha influito sull’aumento del fenomeno?
«Certamente. Partiamo dal presupposto che l’isolamento sociale nella fascia evolutiva non porta benefici. Sono stati legittimati a chiudersi».
Quali sono i campanelli d’allarme?
«La vita su internet e i videogiochi. Di prima battuta i genitori requisiscono i cellulari, staccano i computer o i tablet. Per il hikikomori la tecnologia è una forma protetta di interazione sociale: si sentono realizzati e protetti».
Può farci l’identikit di un giovane potenzialmente predisposto al ritiro sociale?
«Intelligenti, sensibili, che non regge la pressione sociale e non si sente all’altezza. È, a volte, vittima di bullismo, ma in ogni caso ogni situazione è diversa. Il ragazzo che si ritira entra nell’idea che ha fallito».
I genitori come affrontano il problema?
«Applicano quei comportamenti che abitualmente si attivano nei confronti di figli svogliati o pigri. La prima reazione è aggressiva. Poi inizia la preoccupazione, infine, si rivolgono a psicologi, neuropsichiatri, all’Associazione Mutuo Aiuto».
Come uscirne?
«Ascoltare e comunicare. I genitori devono affrontare un percorso di sostegno. La soluzione sta nel comprendere il significato del ritiro sociale del figlio. È utile avviare il ragazzo alla terapia e usufruire dei Terp, tecnici della Riabilitazione Psichiatrica, professionisti che incontro i ragazzi isolati nelle loro case. Poi, la scuola potrebbe considerare interventi diversi: lezioni a distanza, attivazione di docenti di sostegno a casa, comprendere che il ragazzo ha bisogno di un tempo e uno spazio diverso per poter ricominciare a rientrare in società».