Sant'Antonio
domenica 19 Gennaio, 2025
di Alberto Folgheraiter
Gatti e conigli e pure un cane in chiesa, ai piedi dell’altare, per una messa dell’arcivescovo Tisi non s’erano mai visti. È accaduto venerdì pomeriggio a Cembra dove «don» Lauro, che sta compiendo la visita pastorale, ha detto messa nel giorno di Sant’Antonio abate, patrono degli animali e delle stalle. Un rito fuori dagli schemi consueti e al tempo stesso ancorato alla tradizione del mondo contadino.
«Li 19 agosto 1910 sua altezza reverendissima il Principe Vescovo partiva da Trento con un’automobile dell’Unione Trentina imprese Elettriche in compagnia di due segretari e di un cameriere alla volta di Cembra. Anche il molto reverendo decano di Cembra don Domenico Zanotelli (da Livo, 1861-1932) venne ad incontrarlo a Trento. L’incontro ebbe luogo al capitello prima di entrare nella borgata. Vi si trovavano rappresentate tutte le autorità, i corpi morali, le scolaresche, l’asilo e molto popolo che acclamava festoso il pastore diocesano».
Così la relazione alla visita pastorale nel decanato di Cembra di Celestino Endrici (1904-1940), ultimo principe vescovo di Trento di nomina imperiale, visita che si tenne dal 20 al 31 agosto 1910.
Molto più semplicemente, l’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi (1962), è arrivato a Cembra da solo, senza segretari, camerieri (che non ha), accolto dal parroco di dodici parrocchie della valle, Bruno Tomasi (1959), e dai bambini della catechesi che lo hanno aspettato nella chiesa dell’Assunta per una messa pomeridiana. A conclusione della quale e dopo aver distribuito immagini di S. Antonio abate, l’arcivescovo ha raggiunto una stalla (Zanotelli) per impartire benedizioni agli animali: ai maiali, alle vacche, agli asini, ai cavalli, alle pecore, perfino alle oche. Ai maiali no, poiché con la peste suina in agguato è vietato agli estranei entrare nella porcilaia.
La benedizione degli animali è un rito arcaico, che in qualche comunità contadina della periferia del Trentino si tiene ancora (a Pergine presso la chiesa dei frati francescani; a Segno dove è andato il vescovo Manzana).
Nel calendario del mondo contadino, la ricorrenza di S. Antonio abate era una pietra miliare. Pur non figurando tra i quattordici «Santi ausiliatori», quelli deputati alla guarigione dalle malattie o a scongiurare la morte improvvisa, S. Antonio abate era tenuto in grande considerazione.
Vissuto tra il 251 e il 356, morto a 105 anni, visse da eremita nel deserto della Tebaide (alto Egitto). Sue reliquie furono trasferite ad Alessandria e Costantinopoli. Nell’XI secolo approdarono in Francia dove «Antonio eremita» fu eletto patrono dei malati di ergotismo (malattia causata dall’avvelenamento di un fungo della segale cornuta usata per fare il pane). Oggi, tale affezione è conosciuta come «Herpes zoster», popolarmente detto «fuoco di Sant’Antonio».
C’è, in proposito, una straordinaria figura su una portella d’altare in una cappella delle Giudicarie con l’immagine di S. Antonio e il fuoco in una mano. A lato un maialino poiché il grasso dei suini era utilizzato per lenire il dolore causato dall’herpes. Fu fondato un ordine ospedaliero, detto degli «Antoniani», i quali accoglievano e curavano i malati di ergotismo. Fuori dall’hospizio pascolavano i maiali ai quali era legata una campanella. Ecco spiegata l’iconografia di S. Antonio col porcellino al fianco e una campanella legata al bastone.
Per traslato, a quel punto, Antonio eremita fu proclamato patrono anche degli animali della stalla. Da qui l’usanza, nel mondo contadino, di farli benedire dal prete il 17 gennaio. Nella tradizione celtica a S. Antonio fu attribuita l’immagine della divinità Lug, portatore della luce, alla quale erano consacrati i cinghiali e i maiali.
Per restare in casa nostra, sono numerose le chiese e le cappelle intitolate a S. Antonio abate. Cominciando dal paese di Sant’Antonio di Mavignola (cappella del XIV secolo, con affreschi dei Baschenis), Pelugo (XIV secolo), Quartignano di Cimego (1492), Biacesa di Ledro (1521), Stumiaga (1482), Dolaso nel Banale (1466), Lizzanella (anteriore al 1185); Pomarolo (1295). In val di Non: Rallo (anteriore al 1455), Preghena (cit. nel 1384); Ruffré (XIV secolo), Romeno (XIII secolo); Mastellina (Val di Sole, ricostruita nel 1461).
Altre chiese a S. Antonio erano segnalate, fino al 1964, nei dieci decanati «teutonici» della provincia di Bolzano che facevano parte della diocesi di Trento: Egna (nominata nel 1381, divenuta di S. Sebastiano, soppressa nel XIX secolo); S. Antonio di Caldaro (nominata nel XV secolo); Laives (vecchia chiesa nominata nel 1386); Castel Roncolo (Bolzano) pala e affreschi del XV secolo con S. Antonio abate). Anche a Prissiano è ricordata una cappella di S. Antonio nel 1323.