L'appello
sabato 25 Gennaio, 2025
Morte di Sara Piffer, il padre di Matteo Lorenzi: «So cosa prova la famiglia, per noi il tempo si è fermato»
di Patrizia Rapposelli
Il padre del 17enne: «I genitori dicano ai figli ciclisti di smettere: sulla sicurezza servono risposte concrete»

«Con Sara Piffer la ferita si è riaperta: il dolore per la morte di nostro figlio è tornato fortissimo. Io so cosa sta vivendo la famiglia di Sara… è tremendamente ingiusto. La piccola Sara, il fratello Loris e Christian avevano la stessa grande passione per la bici del nostro Matteo. Capitava che si davano appuntamento tutti assieme per l’allenamento. Ho la testa spaccata a metà: da un lato la parte razionale che vorrebbe uscire da questo incubo e dall’altra il vicino cuore che mi porta sempre più in basso e mi trascina verso il fondo. Non trovo pace». Papà Luca Lorenzi non riesce a trattenere le lacrime al telefono. Il suo è un terremoto che scuote le nostre emozioni: il movimento raccontato dalla parola, il vero sconquasso, è tutto interno. Venerdì è tornata l’angoscia di quel 9 maggio 2024, quando il figlio Matteo Lorenzi, di Fornace, diciassettenne ciclista juniores della Us Montecorona, società per cui hanno corso in passato anche Gilberto Simoni e Francesco Moser, ha perso la vita in un tragico incidente. Il ragazzo si stava allenando quando è stato investito da un furgone in prossimità di una curva, in località Sille a Civezzano, a sette chilometri da dove il giovane abitava e da dove era partito, il paese di Fornace, e distante quasi quattro chilometri dalla falegnameria del papà. «Un impatto così violento da ridurlo in condizioni disperate. Lo hanno trasportato d’urgenza con l’elicottero all’ospedale Santa Chiara di Trento ma è stato tutto vano. Non c’è stato nulla da fare per lui», papà Luca soppesa accuratamente ogni singola parola, come se cercasse di mettere in fila la sequenza delle diapositive di quel tragico giorno che ha spento la luce del figlio.
«Il tempo si è fermato»
Il genitore si fa spazio tra i ricordi, anche perché il destino di questi giovani agonisti si è intrecciato: anche Sara aveva corso agli esordi con la Us Montecorona, il team del suo paese, e lo zio Massimiliano Piffer è direttore sportivo della stessa realtà sportiva. «Il ricordo di Matteo si era fatto nostalgia ma per la nostra famiglia l’accaduto di venerdì è stato un colpo allo stomaco: quando abbiamo saputo mi è mancato il respiro. Mia moglie è distrutta —racconta — Matteo è stato sbalzato per alcuni metri e ha perso conoscenza. A nulla sono serviti i soccorsi tempestivi: dopo la corsa in ospedale è morto nel reparto di rianimazione. E per Sara è stato uguale: inaccettabile. Perdere un figlio così non ha spiegazioni, non lo auguro a nessuno». Papà Luca, poi, pensa alla famiglia di Sara, quegli stessi famigliari che quando era morto Matteo gli sono stati accanto. «Qualche ora dopo la tragedia, ricordo vennero a bussare alla mia porta: c’erano tutti, mamma Marianna, papà Lorenzo, Loris, Christian e Sara e mi dissero “non so come farete ad andare avanti” — continua papà Luca— Oggi dico a loro di trovare la forza, anche se la ferita è inguaribile e la vita non è più la stessa: vivi un incubo e sogni di poter riavere la vita di prima».
Responsabilità e promesse
«Quando mio figlio prendeva la bici lo mettevo in guardia e lui mi rispondeva sempre la stessa frase “Papà sono prudente non ti preoccupare”, l’ha detto anche il giorno in cui è morto —racconta— E sono sicuro che anche Sara fosse molto prudente ma il ciclismo è uno sport pericoloso, io non ne voglio più sapere». La passione per le bici ha tradito sia Matteo che Sara. A casa Lorenzi ci sono due genitori che, sebbene ancora travolti dalla disperazione, cercano le responsabilità. E allora, pur rotto dall’emozione, la conclusione di papà Luca: «La strada è di tutti, a partire dai più fragili. Il tema della sicurezza su due ruote deve essere affrontato concretamente. Io ai genitori di figli che corrono in bici dico chiaramente di far smettere di praticare il ciclismo: qualcuno prometta di cambiare le cose, di garantire più sicurezza a queste giovani vite».
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